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Un Brahms ed un Dvořák emozionanti nel secondo CD del Trio Kanon

di Luca Segalla

Oltre alla qualità del suono e al perfetto bilanciamento timbrico, del Trio Kanon a colpire sono la scioltezza e l’intensità delle esecuzioni, da una parte eleganti e morbide nel fraseggio, dall’altra emotivamente accese, come dimostra il secondo CD della formazione, dedicato al Trio in Do maggiore op.87 di Johannes Brahms e al Trio in Mi minore op.90 "Dumky" di Antonín Dvořák (Warner Music). La violinista Lena Yokoyama, il violoncellista Alessandro Copia ed il pianista Diego Maccagnola hanno iniziato il loro sodalizio artistico a Cremona nel 2012, si sono perfezionati quindi a Duino con il Trio di Parma e tra i riconoscimenti ottenuti vantano il Primo Premio Assoluto all’International Chamber Music Competition di Pinerolo e Torino, lo scorso anno, dove hanno anche vinto il Premio del Pubblico e il Premio Speciale "Cerutti-Bresso"; il loro nome viene dall’unione delle parole giapponese «Ka» («fiore») e «On» («Musica»), ma rimanda per assonanza, naturalmente, al termine «Canone».

Negli ultimi anni le giovani formazioni cameristiche tendono ad uniformarsi verso l’alto, esibendo generalmente un buon amalgama timbrico, un ottimo sincronismo dell’insieme, tecnica invidiabile e musicalità pregevole. Il Trio Kanon rivela però di avere qualcosa in più, vale a dire la capacità di entrare in profonda sintonia con la musica evidente, per esempio, nell’Andante con moto del Trio op.87 brahmsiano, la cui eleganza è pervasa da una malinconia non immune da accenti tragici. A spiccare in questo CD è l’intensa interpretazione del Trio op.90 «Dumky» di Dvořák, un’interpretazione da porre accanto alle migliori del panorama discografico attuale, in cui i tre musicisti del Kanon riescono a rendere tutta l’ambiguità di un capolavoro umorale, oscillante di continuo tra rassegnazione e slanci di ottimismo, nel segno di un pregevole rubato (si veda in particolare l’Andante moderato) e di una travolgente eppure composta vitalità ritmica.

A raccontare per Archi Magazine la storia e i progetti del Trio è la violinista Lena Yokoyama.

«Suoniamo insieme dal 2012, ma ci conoscevamo da tempo, essendoci incrociati più volte nel corso dei nostri percorsi di formazione. Io ho incominciato a suonare con Diego nel 2007, un anno dopo essermi trasferita a Cremona, in quanto volevo allargare il mio repertorio ed ero alla ricerca di un pianista per suonare una Sonata di Beethoven. Diego a sua volta ha incontrato Alessandro a Roma nel 2009, studiando nel corso di Musica da Camera dell’Accademia Santa Cecilia tenuto da Rocco Filippini. In seguito, presso l’Accademia Stauffer di Cremona, dove mi stavo perfezionando con Salvatore Accardo, ho conosciuto anch’io Alessandro, che frequentava la classe di violoncello. Alla fine dell’anno, in occasione di un concerto presso il Teatro Ponchielli, ci siamo rivisti tutti e tre e lì è nata l’idea di formare un trio».

Voi avete studiato con il Trio di Parma: come è stata questa esperienza di formazione?

Trio Kanon«Per affrontare un repertorio così esigente come quello per trio con pianoforte abbiamo pensato di affidarci agli insegnamenti del Trio di Parma, iscrivendoci ai loro corsi presso la storica Scuola del Trio di Trieste di Duino. L’esperienza con loro è durata quattro anni ed è difficile riassumere in poche righe tutto quello che ci hanno dato, dal punto di vista artistico ma anche umano.

Alberto, Enrico e Ivan sono tre persone generosissime e tre musicisti e insegnanti fantastici. Da loro  abbiamo imparato tanto non solo come gruppo, lavorando sui problemi di insieme e di equilibrio tra archi e pianoforte, sul colpo d’arco e sull’uso del vibrato nei vari autori, ma siamo migliorati anche individualmente come strumentisti».

Veniamo ora al vostro ultimo CD, il secondo dopo quello con il Trio op.70 n.1 ed il Trio op.97 di Beethoven, dedicato al Trio in Do maggiore op.87 di Brahms e al Trio in Mi minore op.90 "Dumky" di Dvořák. Quali sono i motivi che vi hanno spinto a scegliere questi due autori?

«Brahms, oltre ad essere un compositore che amiamo molto e un autore imprescindibile per ogni gruppo di musica da camera, è stato anche il primo "grande" con cui ci siamo confrontati all’inizio della nostra esperienza in trio, partendo dallo studio del Trio in Si maggiore n.1 op.8 per poi approdare al Trio n.2 op.87. Quest’ultimo è una summa delle caratteristiche peculiari della scrittura brahmsiana: grande equilibrio formale, sonorità sinfoniche con la predilezione per le tessiture più gravi e pastose, coesistenza di linee cantabili e di contrappunto, soprattutto nel primo movimento, presenza di spunti folklorici ungheresi nell’Andante con variazioni; suonando l’Op.87 ci siamo sempre sentiti a nostro agio, così abbiamo deciso di registrarlo.

L’abbinamento con Dvořák ci è sembrato naturale, sia considerando la vicinanza artistica e affettiva tra i due autori, che erano molto amici, sia perché volevamo metterne in luce le differenze. La fantasia e l’estro della musica di Dvořák, che narra e dipinge nei sei movimenti del suo Trio "Dumky" le gesta immaginarie di antichi eroi boemi e i colori della sua terra, ben contrastano con la purezza dell’edificio brahmsiano, dandoci, per così dire, una fotografia in apparenza parziale ma in realtà esaustiva sulle possibilità espressive della musica da camera degli ultimi anni dell’800».

Il Trio "Dumky" è una delle pagine cameristiche di Dvořák più eseguite dagli interpreti e più amate dal pubblico. Quali sono, secondo lei, le ragioni di questa popolarità?

«Senz’altro l’enorme varietà di dinamiche, di ritmi e di colori che caratterizza questo lavoro. In ogni Dumka coesistono le due anime della cultura slava, quella più malinconica e nostalgica e quella più fiera ed eroica, per cui ogni movimento è come un capitolo di un grande racconto. La facilità di invenzione melodica del compositore boemo, invidiatagli dallo stesso Brahms, emerge dalla prima all’ultima nota di questo Trio, facendone un capolavoro che non ci si stanca di eseguire e di ascoltare».

Lo scorso aprile siete tornati in Giappone, a un anno di distanza dalla vostra prima tournée nel Paese del Sol Levante, per affrontare il Triplo Concerto di Beethoven con la Sereno Chamber Orchestra. Come è stata questa esperienza?

«È stata una splendida avventura. La Sereno Chamber Orchestra è una formazione nata due anni fa e composta da strumentisti giovani e molto talentuosi, guidata dal bravo direttore Keisuke Shizuma; il Primo violino è mia sorella Ami Yokoyama. Abbiamo potuto lavorare con loro per tre giornate con grande entusiasmo e da questa esperienza è nato un bel rapporto di stima e amicizia. Le sale in cui abbiamo suonato erano magnifiche, sia l’Auditorium del Toyonaka Cultural Centre sia la Phoenix Hall di Osaka, dove abbiamo tenuto l’ultimo recital: forse la sala con l’acustica migliore in cui ci siamo mai esibiti. Anche il pubblico è stato speciale: in Giappone è usanza portare degli omaggi per i musicisti e fermarsi per incontrarli dopo il concerto ed è stato bello poter parlare con tante persone appassionate di musica classica. Speriamo di poter tornare presto».

Progetti per il futuro?

«Abbiamo recentemente debuttato nella stagione cameristica del Teatro La Fenice con una doppia integrale dei Trii di Brahms, un progetto ambizioso di cui siamo molto orgogliosi. In estate terremo due corsi di musica da camera, il primo a Dongo, in provincia di Como, dal 6 al 10 luglio, l’altro dal 5 all’8 settembre per l’Accademia Perosi di Biella. Sempre in settembre ci esibiremo a Firenze, il 24, per la rassegna Fortissimissimo degli Amici della Musica, mentre il 29 suoneremo il programma del disco appena uscito alla Palazzina Liberty di Milano.
Per quanto mi riguarda continuo a collaborare con il Museo del Violino di Cremona, suonando in varie occasioni gli strumenti storici della collezione Stradivari. Quest’anno ho inoltre iniziato a insegnare Musica da Camera presso l’Istituto Monteverdi di Cremona, la scuola in cui mi sono diplomata. Un progetto interessante è anche quello che sto portando avanti con la Scuola di Liuteria, dove oltre ad insegnare violino partecipo ad alcuni laboratori con i giovani studenti per spiegare le problematiche e le esigenze di un musicista professionista a chi dovrà costruire i violini del futuro».