Image

Una serata slava con il Trio Sitkovetsky al Teatro Miela di Trieste

di Stefano Crise

Čajkovskij ebbe un rapporto d’amicizia tanto intenso quanto contrastato con Nikolaj Rubistejn, pianista, compositore, fondatore del Conservatorio di Mosca oltre che fratello minore del più conosciuto Anton. A voler credere alle lettere di Čajkovskij, Nikolaj aveva rifiutato di eseguire il suo Primo Concerto per pianoforte e orchestra considerandolo ineseguibile e antimusicale. Alla morte dell’amico, Čajkovskij gli dedicherà il Trio con pianoforte in La minore op.50 (1882) e sarà la sua unica composizione per questo organico a conferma dell' avversione per la presunta difficile fusione di pianoforte e archi. La stagione della Chamber Music ha proposto un programma slavo invitando il Trio Sitkovetsky (Alexander Sitkovetsky, violino, Isang Enders, violoncello, Wu Qian, pianoforte) che ha eseguito questo impegnativo lavoro dalle molte qualità. Valga ad esempio la libertà formale del Pezzo elegiaco composto da tre temi trattati con grande varietà. Gli esecutori ne hanno esposto il primo con una lettura scorrevole, scevra perciò da ogni appesantimento retorico. Il contrasto col secondo tema più energico, che quindi inverte la contrapposizione espressiva tradizionale, è stato meno evidente favorendo una linearità complessiva. Con la terza idea, forse la meno ispirata delle tre, i tre strumentisti hanno lasciato scorrere il suono con libertà giocando con l’intrecciarsi delle parti. Un Tema e undici Variazioni più il Finale danno vita al brano conclusivo la cui originalità risalta dalla monumentalità della costruzione, dal virtuosismo delle parti e dalla ricchezza delle idee. Il tema scritto “in modo popolare” è fin troppo semplice, ma il Trio Sitkovetsky ha dato valore a questo nucleo introduttivo grazie ad un eloquio estroverso, seguito dalle Variazioni proposte con una personalità specifica. Ciò è anche favorito dalla scrittura grazie a cui si apprezzano, tra gli altri, un Valzer salottiero (Variazione VI), una fuga molto strutturata (Variazione VIII), ma anche una Mazurka come palese omaggio a Chopin (Variazione X). Gli archi e il pianoforte si alternano nelle parti più importanti con grande virtuosismo ma anche si fondono per creare sonorità magiche come quella di un carillon nella danza della Variazione V.

Molti i punti di contatto nel programma proposto. Anche il Trio con pianoforte in sol minore op.15 (1855) di Bedřich Smetana, infatti, porta la dedica per la perdita di una persona cara, la figlia di cinque anni del compositore. Come Čajkovskij, Smetana non ha un catalogo molto ampio di musica da camera, e anch'egli scrive un unico Trio per questa formazione. Entrambi i Trii alternano momenti lirici ad altri virtuosistici. A differenza del Trio di Čajkovskij, tuttavia, le influenze popolari nel Trio di Smetana sono più marcate. Gli esecutori hanno posto in luce le ricche sezioni di ogni movimento, dall’intenso recitativo del violino in registro grave, sorta di idée fixe e alle sue varianti, al variegato Allegro, ma non agitato, fino alle reminiscenze nostalgiche del Finale. Un'esecuzione risultata uniforme grazie alla pregnante cantabilità che ha idealmente trasceso la morte e il senso di perdita che sono all'origine del Trio op.15.