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Il Nuovo Trio Italiano d’Archi all'Amiata Piano Festival

di Francesco Ermini Polacci

Se un Festival è ideato con lo spirito giusto, con quella vitalità di idee che può trarre ulteriore spinta dalla sollecitazione del momento, possono arrivare anche delle gradite sorprese. Accade così che all’Amiata Piano Festival - creato dal pianista Maurizio Baglini e dalla violoncellista Silvia Chiesa ormai più di quindici anni fa - il concerto che vede per la prima volta ospite della rassegna il Nuovo Trio Italiano d’Archi inizi, non finisca, con un fuori programma: «un brano di Mozart che ci è parso opportuno proporre perché si possa respirare un po’ di serenità in un momento difficile come quello che stiamo vivendo», dice lo stesso Baglini, riferendosi alle preoccupazioni indotte dalla pandemia e alla crisi in Afghanistan. E tutti insieme attaccano, con spavalda brillantezza, il gioioso Rondò finale dal Quartetto in Sol Minore KV478 di Mozart. È l’inizio di una serata dal programma particolarmente denso, ma percorso con naturalezza e duttilità stilistica, fra gli autori e i linguaggi più differenti, dai tre musicisti del Nuovo Trio d’Archi (Alessandro Milani al violino, Luca Ranieri alla viola, Pierpaolo Toso al violoncello: tutte prime parti dell’Orchestra Sinfonica Nazionale Rai, e che in formazione cameristica suonano assieme dal 2004). Schubert, all’inizio, il Trio D471, ricreato con dialoghi paritetici, coesione, e un classicissimo senso formale. Boccherini, un Trio op.14 n.4 ben rifinito ma che avremmo voluto un po’ più fantasioso ed esuberante. E c’è anche uno sguardo sulla contemporaneità, con la prima esecuzione assoluta di MeMi, breve brano dagli indirizzi stilistici cangianti che Tiziano Citro ha di recente scritto appositamente per il Nuovo Trio Italiano d’Archi. Ma al centro del programma domina Beethoven, la Serenata in Re Maggiore op.8, scritta quando il compositore aveva da poco superato i venticinque anni e strizzava l’occhio alla piacevolezza svagata e ai toni brillanti che il gusto e la moda richiedevano nella Vienna del tempo. Cinque movimenti, che il Nuovo Trio Italiano d’Archi salda coerentemente, con sonorità essenziali e disciplinate, ma al contempo restituendone le singole peculiarità: c’è baldanza nella Marcia con cui attacca la Serenata, con gusto ed eleganza vengono sgranate le Variazioni che intessono l’ultimo tempo; e colpisce, nell’Adagio, la fusione di violino e viola sul morbido sostegno del violoncello, un unisono che si profila davvero come un suono unico, a modellare, cantandola, la melodia principale. La conclusione è affidata a Mahler, il Movimento di Quartetto con pianoforte da lui scritto a sedici anni, durante gli anni del Conservatorio a Vienna. Pagina iniziale di un mai completato Quartetto, sopravvissuta per puro caso, ma sorprendente perché unisce il desiderio di rispettare le forme classiche a un’invenzione nutrita di inquietudini (le stesse che saranno del Mahler più maturo), di turbamenti accarezzati da una struggente sensibilità decadente. E qui, a creare una corrispondenza simmetrica con l’inizio a sorpresa del concerto, rientra in scena Maurizio Baglini al pianoforte, e il Nuovo Trio Italiano d’Archi lo segue in una lettura dalle sonorità generose, e che ci arriva impetuosa e disperata. Il pubblico del Forum Bertarelli - la sede concertistica dell’Amiata Piano Festival circondata dai colli della Maremma toscana - reagisce giustamente con applausi festosi. E allora, ecco il bis: l’Andante cantabile dal Quartetto per pianoforte ed archi op.47 di Schumann. È una toccante Romanza, concepita secondo il principio del Tema con Variazioni: Baglini crea il giusto sottofondo, senza mai soverchiare il dialogo dei tre archi, un dialogo fatto di respiri comuni, essenzialità e, ancora una volta, elegante misura.

Fotografie: Carlo Bonazza

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