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A LuganoMusica il violino raffinato e sottile di Julia Fischer

di Luca Segalla

Sono bastate le prime battute della Sonata in Mi bemolle maggiore K481 di Mozart a farci capire che Julia Fischer, ospite lunedì 15 novembre di LuganoMusica, non è una violinista comune. Un fraseggio sornione, sonorità raccolte, un modo amabile e riservato di porre la musica, mentre al pianoforte la sua compagna di avventura, Yulianna Avdeeva, appariva decisamente più vivace. È una violinista di classe, Julia Fischer, ed ascoltarla è sempre un’esperienza gratificante. Al LAC di Lugano il pubblico doveva quasi tendere le orecchie per cogliere tutte le iridescenze di un Mozart riservato e poco incline alla brillantezza, ridotto anche nei contrasti dinamici, lontano da gesti drammatici ed accensioni virtuosistiche. La trentottenne violinista tedesca non ha fatto nulla per catturare il pubblico, perché era in realtà il pubblico a scivolare lentamente verso di lei. Lo si è visto anche nel secondo movimento dalla sonata mozartiana, candido e insieme naturale, perché Mozart può essere semplice e pulito senza venire trasformato in un gioco di cristalleria musicale; a questa naturalezza ha indubbiamente contribuito l’affiatamento tra le due interpreti, diverse di indole ma capaci di respirare insieme in ogni singola battuta, come si è ben avvertito nell’Allegretto conclusivo.

Era leggero e quasi diafano anche l’attacco della Sonata n.2 in Fa minore op.6 di George Enescu, anche se subito dopo, con un improvviso colpo d’ala, Julia Fischer ha trovato colori più scuri e un fraseggio più drammatico, esibendo un colpo d’arco impeccabile in un dialogo intenso fino all’incandescenza con una Yulianna Avdeeva che si abbandonava a vere e proprie accensioni virtuosistiche, a rendere tutta la passionalità di una pagina uscita dalla penna di un compositore all’epoca - il 1899 - appena diciottenne. Si è tornati a un’atmosfera riservata nel secondo movimento della Sonata, le cui armonie modaleggianti, dal sapore popolare ed insieme arcaico, hanno ispirato un’interpretazione fatta di sfumature sottili, malinconica senza eccessi sentimentali, appena animata da un leggero vibrato: nelle ultime battute gli armonici del violino, eseguiti alla perfezione, apparivano sottili e lontani, in una sorta di sospensione del movimento prima del vitalistico movimento conclusivo.

Sono autentiche virtuose, Julia Fischer e Yulianna Avdeeva (vincitrice tra l’altro del Concorso Chopin nel 2010), non tanto per il volume di suono quanto per il controllo del suono e la definizione dei dettagli in ogni momento dell’esecuzione. A Lugano hanno però occultato il loro virtuosismo, lasciando sempre la scena alla musica e trovando il giusto tono per ciascuno degli autori in programma, tra la riservatezza candida e salottiera di Mozart e la nostalgia algida ma attraversata da guizzi vitali di Enescu. Era invece tutta immersa nella passione della Sonata n.1 in La minore di Robert Schumann, affrontata di slancio nel segno di un’estrema intensità drammatica e di un fraseggio di ampio respiro. Il tutto era sostenuto da un vibrato di classe, in un continuo crescendo fino al movimento conclusivo, che sembrava non lasciare all’ascoltatore un solo momento di tregua.

Capolavoro sfuggente e di alto virtuosismo, la Tzigane di Maurice Ravel è stata il perfetto sigillo una serata densa di emozioni. Il virtuosismo della Tzigane è soprattutto un virtuosismo timbrico e ritmico, tra scatti fulminei e un’ansia del movimento che è come un fuoco sottile sottopelle. L’interpretazione del duo Fischer-Avdeeva è andata proprio in questa direzione, con la Fischer capace di momenti di autentica magia timbrica nella lunga cadenza introduttiva del violino solo, affrontata sottovoce, in modo insinuante più che invadente, senza alcuna concessione allo spettacolo. Lo spettacolo in realtà in questa Tzigane c’è stato, ma era tutto nelle sottigliezze timbriche e nella perfetta sincronia dell’insieme, in un crescendo progressivo di intensità drammatica senza concessioni alla teatralità.

Al LAC c’erano alcune poltrone vuote, segno che l’entusiasmo con cui sono stati accolti i concerti programmati a ridosso della seconda riapertura delle sale è venuto un po’ meno e i lunghi mesi di reclusione domestica e di musica in streaming hanno reso il pubblico un po’ pigro, forse con l’aggiunta, per qualcuno, del timore legato all’idea di uscire. Gli applausi non sono però mancati e non è mancato il bis, lo Scherzo composto da Brahms per la cosiddetta Sonata F.A.E. (i restanti movimenti vennero composti da Albert Dietrich e Schumann), affrontato nel segno di una grande freschezza - a tratti anche brillantezza - esecutiva e di una grande fantasia timbrica.

 

Fotografie: Sabrina Montiglia

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