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L’atteso ritorno di Vadim Repin a Roma

di Luca Lucibello

Cinquant’anni compiuti a fine agosto e quasi quaranta trascorsi a suonare in giro per il mondo - dopo aver vinto a 11 anni il Wieniawski e a 17 il Queen Elisabeth -, Vadim Repin è tra i violinisti più acclamati del mondo per passione, sensibilità, poesia e una tecnica impeccabile. Dopo diversi anni d’assenza il suo ritorno a Roma era un evento da non perdere, uno di quegli appuntamenti che si mettono in agenda già ad inizio stagione. Ad ospitare giovedì scorso il suo recital con il pianista russo Konstantin Lifschitz è stata l’Accademia Filarmonica Romana, nella splendida cornice del Teatro Argentina. Anche il programma, un connubio di musiche composte fra fine ’800 e metà del ’900, era dei più coinvolgenti: la Terza Sonata di Grieg e la Sonata n.2 di Prokof’ev nel primo tempo, la Rapsodia n.1 di Bartók e la Terza Sonata di Brahms nel secondo. Ebbene, al loro ingresso sul palcoscenico i due musicisti sono stati accolti dal caloroso ma sparuto applauso di un centinaio di spettatori, in un teatro che tra platea e sei ordini di palchi ne può ospitare oltre settecento. Un vero peccato, ma questi sono i tempi che corrono. Le aspettative in ogni caso non sono state deluse, con il violinista siberiano che ha esibito la sua profonda conoscenza dei pezzi eseguendo l’intero programma (tranne Bartók) a memoria. Di grande fascino è stata in particolare la Sonata di Prokof’ev, nella quale il violino si è trasformato in una voce narrante dal forte potere evocativo. Così come l’apertura della Sonata di Brahms, nella quale il duo ha offerto una lettura molto intima e raccolta. Ma è nei due bis, l’Aria di Lenski dall’Eugene Onegin e Waltz-Scherzo di Čajkovskij, che Repin ha sfoggiato tutto il suo temperamento russo e il suo scintillante virtuosismo, mandando in estati i fortunati spettatori.  

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