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Spegnete i telefoni, suona il Quartetto Prometeo!

di Andrea Nocerino

È iniziata in maniera squisitamente pittoresca la serata di Giovedì 20 gennaio al Teatro Argentina, dove era atteso da un pubblico numeroso il Quartetto Prometeo, in un programma interamente dedicato a Dmitrij Šostakovič per la Stagione dell’Accademia Filarmonica Romana. Ore 21: mancano pochi secondi a che la musica inizi, quando in lontananza irrompe l’inconfondibile suoneria di un telefono cellulare. I borbottii in sala si fanno vistosi, e dopo poco un appassionato spettatore rompe il silenzio con uno sfogo ben declamato: «spegnete i cellulari!». Il pubblico scoppia immediatamente in una risata liberatoria che contagia rapidamente i musicisti sul palco, consentendo un immediato abbattimento della quarta parete e un allentamento del distacco umano creato inevitabilmente dall’uso di mascherine chirurgiche. Non potevano essere introdotti meglio di così i modi accoglienti e solari con cui il Quartetto avrebbe di lì a poco convinto gli spettatori.

La musica inizia. Dei cellulari, ormai spenti, non si sarebbe sentita alcuna mancanza: si intuisce fin dalla prima nota un’eccellente presenza sonora, che col suo avvento impone i musicisti sulla scena. Il suono nitido e luminoso, perfettamente amalgamato tra gli strumenti, trasporta gli ascoltatori attraverso le pagine del Quartetto n. 1 op. 49, apertura della serata e splendido esempio di uno dei tanti stati d’animo di cui è singolarmente capace Šostakovič.

Lo svolgersi delle note è libero, ricco, ben condotto dai quattro strumenti sul palco; l’intonazione eccellente tra i violini e l’instancabile forza motrice di viola e violoncello fanno volentieri a turno con altrettante fortunate geometrie: impossibile non apprezzare, ad esempio, la mirabile continuità timbrica tra i suoni gravi del Primo Violino e quelli acuti del Violoncello, o la grande autorevolezza con cui le voci interne legano e sostengono.

Dopo il luminoso e primaverile Quartetto op. 49, è stato facile rimanere altrettanto incantati dalla scrittura contrastante dei successivi Quartetti n. 2 op. 68 e n. 3 op. 73. Un rapido sguardo al programma abbina date cruciali all’ideazione di questi brani: composti tra 1938 e 1946, attraversano uno dei periodi più dolorosi della storia recente. Si è parlato in molte occasioni dell’esperienza bellica e del rapporto dei compositori con il dramma di essa; proprio in tale frangente sarebbe assolutamente prioritario ricordare, parallelamente, lo spirito tipicamente russo dell’ironia: il gioco e lo scherzo sono urgenze comunicative che costruiscono un approccio coraggioso alla dimensione tragica dell’esistenza, ricordandoci alcune risate amare e formidabili della commedia all’italiana.

Šostakovič, regista e autore di tale commedia, crea immagini perfettamente evocative; sembra a tratti di vederle proiettate sul fondale dorato del Teatro Argentina. Il Quartetto Prometeo non esita, segue la regia del compositore ricreando il serio come il leggero, il grottesco come l’elegiaco. L’interpretazione non sconfina mai in una sola delle direzioni, ricostruendo abilmente il carattere multiforme dell’opera.

Al termine, tra gli applausi davvero entusiasti della platea e dei palchi, la serata si chiude con un nuovo momento comico. «Proporremo un bis di Sibelius», annuncia garbatamente il violoncellista; una signora, a poca distanza, non ha sentito. Chiede allora veementemente a un vicino: «chi?!» «Sibelius signora!» «Aaah, Luciano Berio, bene, bene!».

La sala da concerto, tra gli ultimi posti rimasti dove spegnere il telefono, si conferma ancora e sempre un insostituibile luogo di socialità, baluardo di emozioni condivise. Questa sera anche grazie al carisma del Quartetto Prometeo.