Image

Entusiastico saluto di Milano al Quartetto Emerson, al termine della tournée di congedo dal palcoscenico

di Lucia Molinari

Serata emozionante martedì 15 Marzo alla Società del Quartetto di Milano. Sul palco l’americano Quartetto Emerson, che con la sua quarantennale carriera ha saputo entusiasmare più generazioni di appassionati. La Sala Verdi era infatti gremita tanto di giovani quanto di veterani, che hanno accolto fin da subito con energia lo storico ensemble. Il concerto è stato reso speciale da più fattori, innanzitutto quello benefico: il ricavato del concerto, ha annunciato la presidente della Società del Quartetto Ilaria Borletti Buitoni, è stato infatti devoluto alla Croce Rossa Italiana e alla Caritas Ambrosiana per sostenere il loro impegno nella drammatica crisi umanitaria in Ucraina. Ci si chiede infatti, in momenti come questi, quale possa essere il significato della musica, quale senso abbia sedersi ad ascoltare beati un concerto, mentre dietro l’angolo c’è morte e distruzione.

Secondo aspetto che ha reso unico il concerto è stata la consapevolezza che quella fosse l’ultima occasione per ascoltare in Italia i musicisti americani in questa formazione. L’Emerson ha infatti affrontano in Sala Verdi l’ultima tappa italiana della sua lunga tournée di addio in Europa e negli Stati Uniti, prima dello scioglimento previsto nel 2023. Fondato nel 1976 e intitolato al poeta e filosofo americano Ralph Waldo Emerson, il Quartetto ha saputo segnare indelebilmente la storia del quartettismo moderno.

In un’occasione così particolare, l’Emerson non poteva che proporre un programma altrettanto speciale, due capolavori immensi del repertorio quartettistico: l’op.131 di Ludwig van Beethoven e La Morte e la Fanciulla di Franz Schubert.

L’ensemble newyorkese non ha deluso le altissime aspettative che aveva alimentato. Con la saggezza e l’esperienza di una vita dedicata al quartetto, l’Emerson ha restituito una lettura chiarissima, entusiasmante e fortemente espressiva di due monumenti della maturità artistica di due compositori straordinari.

L’epica opera beethoveniana è stata un vero viaggio, eseguita con un unico e ben modellato arco tensivo, in cui i movimenti fluivano l’uno nell’altro con continuità e naturalezza. L’ostica e frammentaria scrittura, per tanti versi folle nella sua modernità, è stata interpretata in un quadro generale coerente, intenso e convincente. Il suono duttile, caldo e generoso dell’ensemble ha tradotto con grande specificità e caratterizzazione il messaggio beethoveniano. Colpisce l’alchimia che rende unico il suono di questo Quartetto: non mancano uscite individuali molto determinate e un’impronta personale dei singoli musicisti, ma il risultato finale è sempre quello di un unico, compatto e solidissimo suono di ensemble. L’Emerson è in grado di manipolare con grandissima varietà il proprio suono, raggiungendo i più diversi bilanciamenti senza mai rinunciare ad un’espressività e una robustezza in grado di riempire l’enorme sala.

Energici, dinamici ed entusiasmanti, i musicisti Eugene Drucker, Philip Setzer (violino), Lawrence Dutton (viola) e Paul Watkins (violoncello) hanno dato tutti loro stessi per il pubblico milanese.

Per la seconda parte della serata, come loro solito, i due violinisti hanno scambiato il proprio ruolo. In Beethoven è stato il suono caldo e avvolgente di Philip Setzer a guidare l’ensemble, mentre per Schubert, Eugene Drucker ha preso la leadership, tingendo col suo inconfondibile vibrato i passaggi più espressivi. È affascinante il fenomeno per cui con l’alternanza dei violinisti il Quartetto riesca a trasformarsi e al tempo stesso restare il medesimo. Impossibile non menzionare poi l’intensità e la forza con cui ha suonato Larry Dutton e il fascino e l’espressività del suono profondo di Paul Watkins, che ha costantemente sostenuto dalle fondamenta il gruppo.

Il Quartetto Emerson non poteva fare un migliore ultimo regalo al suo affezionato pubblico, il quale ha calorosamente ed energicamente ringraziato con prolungati applausi e standing ovation.