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Il settantesimo anniversario de I Musici al Parco della Musica

di Beatrice László

La sera del 30 marzo, nella Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, l’atmosfera è quella di un ritrovo gioioso. L’occasione per il concerto che sta per iniziare, non a caso, è una festa: il settantesimo anniversario di vita e di musica del celebre gruppo da camera I Musici.

Proprio il 30 marzo del 1952 infatti, dodici giovani ed entusiasti musicisti debuttavano all’Accademia di Santa Cecilia con la voglia di condividere il loro amore per la musica italiana del Settecento e con una singolarità che li distingueva allora e che li avrebbe contraddistinti da quel momento in avanti: suonare senza direttore d’orchestra.

I Musici sarebbero diventati uno dei più prestigiosi ensemble musicali al mondo e, dopo 70 anni di storia, hanno deciso di celebrare questa importante ricorrenza con un programma fedele alle loro origini: Le Quattro Stagioni di Antonio Vivaldi seguite dalle Quattro Stagioni di Giuseppe Verdi, tratte da I Vespri Siciliani.

Se Le Stagioni vivaldiane appartengono oggi a quel canone musicale comune di cui ci basta sentirne qualche nota per riconoscerle, è stato infatti proprio anche grazie al grande lavoro di valorizzazione che negli anni hanno portato avanti I Musici e alle loro interpretazioni cristalline, come quella di questa sera, dove armonia e vitalità hanno dato vita all’afflato di uno dei pezzi più noti del “Prete Rosso”. Ottima l’energia, che atterra brillante e ben calibrata dal Primo Violino, Marco Fiorini, che asseconda l’impeto di certi passaggi, come la tempesta che chiude il primo movimento dell’Estate, con un suono dinamico e allo stesso tempo terso.

Dopo l’intervallo e prima delle “seconde” Quattro Stagioni, un’ospite entra sul palcoscenico e introduce i motivi verdiani con Caro nome, la famosa aria di Gilda nel Rigoletto. È la soprano coreana Sumi Jo con cui nel 2021 I Musici sono andati in tour in Corea del Sud e dove, scherza la cantante raccontando al pubblico, hanno dovuto affrontare un isolamento di dieci giorni prima di iniziare la serie di concerti.

L’aria è cantata con l’esattezza e la leggerezza che da sempre caratterizzano la voce di Sumi Jo, che in seguito regala un’esecuzione di O mio babbino caro, tratta dall’opera pucciniana Gianni Schicchi.

I Musici riprendono poi la scena con le Quattro Stagioni di Verdi, nella trascrizione per orchestra d’archi e pianoforte di Luigi Pecchia, trasportando il pubblico dalla musicalità adamantina di Vivaldi al mondo verdiano, dove luci e ombre si susseguono in una danza travolgente.

Nel momento in cui gli archetti lasciano le corde degli strumenti non hanno il tempo di indugiare, sospesi in aria, che uno scroscio di applausi entusiasti suggella la fine del concerto.

I Musici ringraziano con l’esecuzione di Con furia, il secondo movimento del Concerto Grosso n.6 di Charles Avison. Dopodiché la violinista Francesca Vicari prende parola e racconta brevemente la storia dell’Ensemble indirizzando gli applausi che seguono a Felix Ayo, uno dei membri fondatori de I Musici, che è in sala. C’è un ultimo encore, la celebre Aria della Suite n.3 di Bach, poiché, nelle parole di Vicari, «la musica non può fermare la guerra ma può costruire la pace».

Celebrare i 70 anni de I Musici significa celebrare un pezzo di storia, una geografia solo apparentemente italiana e che in verità è transnazionale, il talento che ha bisogno di essere curato e riconosciuto per venire allo scoperto ed essere condiviso. Un anniversario che è un importante traguardo, oppure, come suggerisce la violinista Vicari, che sarebbe forse meglio chiamare meta: «Non mettiamo limiti al destino!».

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