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A Ravenna gli archi della Cherubini incontrano gli archi della Budapest Festival Orchestra

di Mauro Mariani

Il Ravenna Festival ha riunito per un concerto al Teatro Alighieri alcuni musicisti della Budapest Festival Orchestra (che in quei giorni era a Ravenna per un concerto sinfonico al Pala De André) e dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini (che a Ravenna è quasi di casa). Era un incontro paritetico tra gli esperti musicisti di una delle migliori orchestre di oggi in campo internazionale e i giovani italiani allevati da Riccardo Muti. Il primo violino e Konzertmeister era János Pilz - già membro del Quartetto Keller, ora Leader della Budapest String Chamber Orchestra e violino di fila nella Budapest Festival Orchestra - mentre nelle altre sezioni dell’orchestra si alternavano prime parti italiane e ungheresi. E dietro ogni leggio stavano fianco a fianco un ungherese e un italiano.

In programma musiche per orchestra d’archi. Si iniziava con il Notturno in Do maggiore MH187 di Michael Haydn: è il fratello minore (in tutti i sensi) di Joseph, ma non è giusto trascurarlo com’è avvenuto finora. Questo suo Notturno è praticamente una piccola Sinfonia in quattro movimenti (d’altronde anche il giovane Mozart non faceva una netta distinzione tra Sinfonie e Serenate e composizioni analoghe: si pensi alla Sinfonia “Haffner”, nata come Serenata) ed è ben scritta, ricca di idee forse non geniali ma sicuramente originali e gradevoli. È una vera gemma l’Adagio cantabile, un delicato ed elegante dialogo tra primo violino e prima viola sul pizzicato dell’orchestra.

Seguiva il Concerto in Re maggiore per violino, oboe e archi di Bach, il cui Adagio consiste anch’esso in un dialogo tra i due solisti sul pizzicato dell’orchestra: verrebbe da pensare che Michael Haydn l’abbia preso come modello del suo Adagio, ma è improbabile che lo conoscesse. È più probabile che tanto Bach che Haydn avessero come modello lo stile italiano. I solisti erano Victor Aviat, primo oboe dell’Orchestra di Budapest e questo era di per sé una garanzia, e Valentina Benfenati, Spalla della Cherubini, che ha suonato in modo impeccabile, con dinamiche e vibrato molto controllati ma senza rinunciare ad un suono pieno e timbrato.

Conclusione con la Serenata in Do maggiore per archi op.48 di Čajkovskij, un pezzo che presenta notevoli difficoltà sia per i singoli che per la concertazione dell’insieme. Ma non si è mai avvertita l’assenza del direttore. Non solo la sincronia e l’equilibrio erano invidiabili, ma si sono visti e ascoltati dei perfezionismi (o astuzie?) che la maggior parte dei direttori trascura. Mi riferisco in particolare al fatto che in alcuni passaggi gli strumenti di una stessa sezione suonavano alcuni con l’arcata in su e altri in giù, in modo da compensare il fisiologico cambio di peso dell’arco e mantenere il più possibile costante il suono dell’insieme. Lo faceva Carlos Kleiber. E pochi altri.

In definitiva un bel concerto, con un programma scelto con intelligenza e suonato benissimo.

Resta da dire qualcosa sull’impressione che ha lasciato quest’incontro tra musicisti di due diverse orchestre, che è stato sicuramente un’ottima esperienza per dei giovani che si stanno formando. Tra i due gruppi ci ci sono ovviamente delle differenze. I musicisti della Budapest Festival Orchestra, che hanno alle spalle la grande tradizione viennese-asburgica-danubiana, non rinunciano al temperamento acceso tipico dei musicisti ungheresi. I giovani italiani della Cherubini sono dapprima un po’ intimiditi dal confronto con i più esperti colleghi, si tengono un passo indietro e producono un suono meno corposo e ricco di sfumature: sono così controllati da capovolgere gli stereotipi che vorrebbero gli italiani calorosi ed espansivi. Ma presto si sciolgono. Non soltanto sono sempre precisi ma hanno anche un controllo del suono e dello stile (per quel che riguarda le musiche del Settecento) forse anche superiore a quello dei colleghi ungheresi.

Fotografie: Luca Concas