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Accademia Chigiana: fuoco, energia e precisione in Piazza del Campo

Quest’anno oltre 2.500 persone ad applaudire Meneses, l’Orchestra del Maggio e Zubin Mehta per quella che è diventata già una grande tradizione dell'estate senese

di Mauro Mariani

Quella del concerto in Piazza del Campo è una tradizione recente, ma si è già affermata. Il suo maggior pregio è coinvolgere con un grande direttore, con un’orchestra di primo livello e con un programma popolare anche coloro - senesi o turisti - che altrimenti nemmeno si accorgerebbero che in quei giorni a Siena si svolge il festival della Chigiana. A questo concerto invece erano presenti ben duemilacinquecento spettatori e altre centinaia di persone seguivano il concerto in piedi dietro le transenne o sedute ai tavoli dei tanti caffè e ristoranti della piazza. I protagonisti del concerto di quest’anno erano l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino e il suo direttore onorario a vita Zubin Mehta. A ottantasei anni il maestro indiano ha qualche problema di deambulazione ma sul podio ha ancora un’energia impressionante. Basti dire che a Firenze aveva diretto mercoledì 13 luglio la Nona Sinfonia di Beethoven e giovedì 14 lo stesso concerto che avrebbe poi diretto venerdì a Siena, sabato a Ravello, lunedì a Rimini, martedì a Macerata e infine mercoledì 20 a Marbella. Un tour da stroncare un trentenne.

Il concerto è iniziato con alcuni estratti da Le Creature di Prometeo di Beethoven, non solo l’Ouverture, che si ascolta con una certa frequenza, ma anche altri due brani di rarissimo ascolto tratti da questo balletto, il n.5 Adagio e il n.16 Finale. L’Ouverture precorre la tensione drammatica che dopo qualche anno sarebbe deflagrata nei capolavori del cosiddetto “secondo periodo” di Beethoven, mentre gli altri due brani, levigati ed eleganti, pagano pegno alla loro funzione di accompagnare la danza. Il motivo di maggior interesse era scoprire nel Finale la versione originale del tema che, con ben altri sviluppi, ritornerà nelle Variazioni op.35 e nel quarto movimento della Sinfonia n.3 “Eroica”.

L’amplificazione eccessiva ha purtroppo rovinato l’ascolto di Beethoven ma già nel brano successivo era meglio calibrata e si poteva così sentire il suono autentico dell’orchestra, rafforzato ma non coperto e falsato dall’amplificazione. Ed era un vero piacere ascoltare il suono che Antonio Meneses ricavava dal suo violoncello Matteo Goffriller (gli strumenti di questo liutaio veneziano di origini sudtirolesi sono stati prescelti da molti dei più grandi violoncellisti, in particolare da Pablo Casals). Era un suono caldo, come richiede la musica del tardo Ottocento, ma anche elegante, come richiede lo stile pseudo settecentesco delle Variazioni su un tema rococò op.33 di Čajkovskij, le cui atmosfere galanti non hanno nulla di lezioso ma sono la rievocazione di una mitizzata epoca aurea di equilibrio, di armonia e di misura. È stato raffinato e controllato e allo stesso tempo comunicativo e anche i passi virtuosistici - che non mancano in questo brano, soprattutto nella versione di Wilhelm Fitzenhagen scelta in questa occasione - non si risolvevano in un meccanico sfoggio di bravura ma erano eseguiti con trascinante musicalità. Si può dire che Meneses, che è anche docente dell’Accademia Chigiana, abbia tenuto una vera e propria lectio magistralis. Per bis ha suonato un brano di Heitor Villa-Lobos, brasiliano e violoncellista (oltre che compositore) come Meneses stesso: era la Cadenza dello Scherzo del Concerto per violoncello n.2, che ci ha fatto venire la voglia di ascoltare per intero tale Concerto.

E per finire Mehta ha condotto l’orchestra fiorentina in un’esecuzione della Quarta Sinfonia di Čajkovskij appassionata e ardente, traboccante di sentimento romantico ma senza sdilinquimenti sentimentali, energica e grandiosa ma attenta ai più piccoli e raffinati dettagli dell’orchestrazione di Čajkovskij. L’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino era in forma smagliante e tutti, dalle singole prime parti alle intere file, sembravano veramente galvanizzati dalla bacchetta di Mehta, il cui gesto ora non è più ampio come un tempo ma trasmette fuoco, energia e precisione.

È proprio vero che il buon giorno si vede dal mattino: l’attacco del primo movimento, con la fanfara di corni e fagotti estesa poi a tutti i fiati dell’orchestra, era possente, implacabile, terrificante, apocalittico. Al contrario il tema successivo in tempo di valzer era languido ma incerto e inquieto, e il tema presentato poi dal clarinetto era malinconico e fascinoso. Ogni tema riceveva dalla bacchetta di Mehta un’evidenza quasi teatrale, alternando i concitati passaggi a piena orchestra, carichi delle grandi e violente passioni che predominano in questa Sinfonia, ai rari momenti quasi cameristici che impegnano soprattutto i fiati, delicati, sognanti, teneri e malinconici. L’unico momento non perfettamente a fuoco era il lungo pizzicato nel terzo movimento, ma la colpa era dell’acustica dispersiva del plein air, poco adatta alla trasparente delicatezza di quella pagina.

Il pubblico è stato travolto dalla forza espressiva della magnifica interpretazione di Mehta, esplodendo dopo il primo movimento in un irrefrenabile applauso, fuori luogo ma pienamente giustificato, e poi in lunghe acclamazioni alla fine della Sinfonia.

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