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Unione Musicale: il Quartetto Ébène e l’arte dell’esplorazione

di Lorenzo Montanaro

Vi sono musicisti che hanno il talento della ricerca e il dono della curiosità concesso agli esploratori. Che il Quartetto Ébène, una tra le più interessanti formazioni cameristiche della sua generazione, sia dotato di queste qualità – tanto da andare, se necessario, fuori dagli schemi – è un fatto noto. E non è un caso se, negli anni, l’ensemble, con le sue escursioni tra gli stili (che l’hanno portato a toccare tutte le sfumature del repertorio classico, guadagnandosi premi e apprezzamenti internazionali, ma anche ad avventurarsi nel jazz e nel pop) ha saputo avvicinarsi ai più giovani e intercettare un pubblico non convenzionale. Ma, si sa, a musicisti di questa caratura ogni etichetta (compresa quella di viaggiatori cross-over) finisce per andare stretta. Già, perché l’attitudine all’esplorazione si rivela, con assoluta chiarezza, anche quando il gruppo sceglie di mantenersi entro i confini della tradizione classica, com’è accaduto a Torino, durante lo splendido concerto tenuto mercoledì 19 aprile, nel salone del Conservatorio, per la stagione dell’Unione Musicale.

Va detto che, in questa occasione, l’assetto non era proprio quello consueto. Infatti il violoncellista Raphaël Merlin, che fa parte del gruppo fin dalla fondazione, è stato sostituito da Aleksey Shadrin, un talento nato in Ucraina e cresciuto tra Germania e Inghilterra, quarto premio, nel 2022, alla Queen Elisabeth Competition. Shadrin ha dimostrato di sapersi fondere perfettamente con gli altri componenti, cioè i violinisti Pierre Colombet e Gabriel Le Magadure (due dei “padri fondatori”) e la violista Marie Chilemme, che fa parte del gruppo dal 2017. In apertura, l’Ébène ha eseguito la Secular Suite del compositore contemporaneo Richard Dubugnon, a partire da opere di Bach. Il risultato, di fatto, ci riporta indietro di secoli, ai fasti del barocco. Si dice spesso che Bach sia una “prova del nove” per ogni musicista, una di quelle su cui si misurano la completezza e la profondità di pensiero. È stato così anche per il quartetto, abilissimo nel far emergere la chiarezza delle linee polifoniche e restituire all’ascoltatore quel gioco, tutto bachiano, tra contrappunto nordico e cantabilità italiana.

Ma è stato nel Quartetto in Fa maggiore di Ravel, una vera pietra miliare per questa formazione, che il gruppo ha rivelato le sue intrinseche e più interessanti qualità. Da un certo punto di vista, si trattava di “giocare in casa”: ricordiamo che l’ensemble si è costituito al conservatorio di Boulogne-Billancourt, da musicisti “madrelingua” della musica e della cultura francese. Ma non è solo “questione territoriale”. Le ricerche protratte per anni, in diversi territori (compresi quelli extra-classici) hanno enormemente arricchito le possibilità espressive del quartetto Ébène. E l’esecuzione di Ravel ne è stata la prova. Oltre a una grande compattezza e una bellissima morbidezza nel fraseggio (grazie anche ai tempi scelti con sapienza), si percepiva una straordinaria ricchezza timbrica. Nei pizzicati del secondo movimento, Assez vif – Très rhytmé, si notava una ricerca di “altri mondi”, si trattasse (come alcuni studiosi ritengono) di una fascinazione dell’autore per il gamelan giavanese, oppure, più semplicemente, di influenze iberiche. E nel terzo movimento, Très lent – Moderé, cuore caldo della composizione, il suono del quartetto sapeva ora smaterializzarsi, come fosse pura luce, ora riprendere corpo, nei temi dolci e sensuali della viola.

Ha chiuso il concerto il Quartetto Op.41 n.3 di Schumann. E anche qui l’Ébène ha saputo adattarsi perfettamente allo spirito della composizione, con un suono dolente, poi corposo, fino al trascinante finale, salutato da molti applausi.