L’Amiata Piano Festival 'evoca' la compositrice Louise Farrenc
di Francesco Ermini Polacci
L’Amiata Piano Festival il prossimo anno festeggerà i venti anni di vita. Ideato dal pianista Maurizio Baglini e dalla violoncellista Silvia Chiesa fra colli percorsi da viti e olivi (siamo in alta Maremma, a Poggi del Sasso, provincia di Grosseto), è una delle realtà musicali, e non solo estive, fra le più interessanti e vive. E questo perché, fin dall’inizio, la rassegna si è distinta per proposte musicali originali, progetti pensati e condivisi con gli artisti invitati a realizzarli. Non il solito, e imperante, contenitore di proposte d’agenzia, buttate là, tanto per far numero. Chissà cosa ci riserverà l’Amiata Piano Festival del ventennale.
Intanto, anche quest’estate la programmazione si è caratterizzata per proposte creative, originali, ricercate. Proposte che producono cultura. Come la serata che ha visto, nel consueto e funzionale spazio del Forum Bertarelli, rendere omaggio a Louise Farrenc (1804-1875): compositrice, pianista, insegnante francese, che s’impose con il suo talento musicale, sfatando pregiudizi che ancor oggi sono assai duri a morire. Una donna che svolgeva una professione come quella della musicista era, nell’Ottocento (e non solo allora), sopportata a fatica. La Farrenc è stata una delle tante figure femminili che si sono distinte nella musica: basti pensare ai casi, più noti, di Clara Wieck (cominciamo a chiamarla così questa musicista formidabile, e non solo con il nome da sposata, Schumann), delle sorelle Boulanger, ma anche a quello di Mel Bonis (alla sua raffinata musica da camera rendono un bell’omaggio Mario Ancillotti al flauto e Eliana Grasso al pianoforte in un recente CD Brilliant).
Certe pagine di storia della musica andrebbero proprio riscritte. All’Amiata Piano Festival, la vicenda umana e artistica di Louise Farrenc ha le parole di un testo discorsivo scritto dal giornalista-saggista Federico Capitoni, e la musica, la musica della Farrenc, è eseguita con garbo e disciplina e sentimento da Silvia Chiesa, Mihaela Costea al violino e Linda Di Carlo al pianoforte. È la stessa Silvia Chiesa a dar voce alla Farrenc, al suo racconto in prima persona: «mi avete evocato attraverso questa specie di seduta spiritica che chiamate “spettacolo”», dice. E così ricorda la passione per il pianoforte, strumento di una professione e non accessorio necessario a una signorina di buona famiglia; l’aver ottenuto la cattedra al Conservatorio, prima donna a Parigi; il senso di una vita consacrata alla musica, la figlia morta. In due lettere - una al direttore del Conservatorio e l’altra al suo vice - la Farrenc rivendica l’aumento di stipendio concesso ai colleghi uomini e non a lei, stigmatizza che le siano state tolte delle allieve, in quanto insegnante donna. Intorno a questi due documenti, in parte noti, si sviluppa uno scorrevole racconto creativo, per quanto la personalità della Farrenc che emerge finisca coll’essere anche troppo attuale, per modi, temperamento, riflessioni, rivendicazioni.
La musica che lo scandisce ha invece l’elegante piacevolezza e l’accuratezza formale del suo tempo: la brillante Air russe varié per pianoforte, lo struggente Andante sostenuto dalla Sonata per violoncello e pianoforte, le Variazioni concertanti su una melodia svizzera per violino e pianoforte, con la loro svagata piacevolezza salottiera. Ma ancor più da conoscere era il Trio per violino, violoncello e pianoforte n. 2 op. 34, ricco di idee melodiche lavorate con abilità, testimone di un gusto fine (come nell’arte della variazione che ricama il movimento centrale), romanticamente fremente eppur classicamente concepito; ancor più apprezzabile per la coesione e la partecipazione con cui l’hanno letto Mihaela Costea, Silvia Chiesa e Linda Di Carlo.
Fotografie di Carlo Bonazza