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Mozart tra Strauss e Berlioz: la LSO al Bologna Festival

di Mauro Mariani

Lasciata la direzione musicale dell’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, di cui rimane comunque direttore emerito, Antonio Pappano ha fatto la prima tournée italiana con la sua nuova compagine, la London Symphony Orchestra, toccando Milano, Bologna e Firenze. Qui si riferisce del concerto al Teatro Manzoni nell’ambito del Bologna Festival: una sala relativamente piccola, con un’ottima acustica, che ha amplificato l’esuberanza della direzione di Pappano, soprattutto in Berlioz, come diremo.

Per chi come il sottoscritto ha sentito decine e decine di volte Pappano a Roma, è stata una sorpresa - per non dire uno choc - trovarlo così cambiato sul podio di un’orchestra diversa. Il suo gesto non è mai stato geometrico ma ora è totalmente libero e fantasioso, ancora più ricco di prima di indicazioni espressive tese a stimolare ed eccitare l’orchestra, lasciandole briglia sciolta, mentre raramente si cura di battere il tempo e di dare gli attacchi, di cui un’orchestra di questo livello non ha bisogno. D’altronde i due brani che aprivano e chiudevano il concerto richiedevano questa sorta di eccitazione sonora, affinché l’orchestra non si limitasse ad evidenziare ma esaltasse al massimo tutti i prodigi orchestrali e i colori nuovi e perfino stravaganti dei due grandi maghi dell’orchestrazione del primo e del secondo Ottocento, ovvero Hector Berlioz e Richard Strauss.

Ad aprire il concerto era Till Eulenspiegel di Strauss. Qui Pappano ha puntato tutto sulle pennellate di colore talvolta denso e lussureggiante ma soprattutto scarno e graffiante, richiedendo sonorità sorprendenti e perfino bizzarre specialmente agli strumenti a fiato ma non solo a loro. E i musicisti dell’orchestra londinese hanno lasciato l’ascoltatore a bocca aperta per come hanno trasformato questa musica in uno scrigno di colori orchestrali, non raffinati e seducenti come in altri poemi sinfonici e opere di Strauss ma beffardi e grotteschi come Till, il protagonista di questi “tiri burloni”.

Chiudeva il concerto la Sinfonia Fantastica di Berlioz, che ci portava quasi settanta anni indietro alla fase più accesa della musica romantica. Berlioz è un orchestratore ancora più geniale di Strauss, perché aveva davanti a sé un campo inesplorato da arare, seminare e far fruttare. Qui però è sembrato che Pappano abbia esagerato a puntare tutto su colori molto accesi e vividi, fin dall’inizio, travolgendo nel tripudio orchestrale le romantiche melodie del primo movimento, intitolato Rêveries, passions, che diventava quasi un’anticipazione dell’altro sogno che chiude questa sinfonia, ovvero il sogno d’una notte di Sabba. Se era giustificato immergere in un vortice di ritmo e colori il secondo movimento, Un bal, non altrettanto può dirsi del terzo, che sarebbe un paesaggio romantico dipinto ad acquerello e non ad olio con colori densi e foschi. Invece i colori violenti ed esasperati erano più che giusti per i due movimenti finali, la marcia al supplizio e il Sabba infernale, che sono stati travolgenti ed hanno eccitato il pubblico, che è scoppiato in applausi fragorosi.

Tra Strauss e Berlioz si è aperto un mondo sonoro totalmente diverso, il Concerto n. 5 in la maggiore K 219 di Mozart: qui è entrata in scena Lisa Batiashvili, che ha una speciale intesa musicale con Pappano, con cui ha collaborato già varie volte. La violinista georgiana ama cimentarsi soprattutto con i Concerti di fine Ottocento e primo Novecento - Čajkovskij, Sibelius, Šostakóvič, Bartók - e questa volta non ha potuto mettere sul tavolo le sue doti che più colpiscono, cioè il virtuosismo e il temperamento. Ma anche in Mozart ha dimostrato la sua classe: il suono è bellissimo, con un timbro pieno ma allo stesso tempo nitido, pulito, impeccabile. Era però un Mozart un po’ robusto, a cui mancavano lo spirito vivace e gioioso e le delicatezze di dinamica e di fraseggio. Come bis ha suonato un brano di un suo connazionale, Doluri di Aleksi Machavariani.

Dal canto loro Pappano e l’orchestra alla fine della serata, dopo Berlioz, hanno offerto un bis che ha consentito di dimostrare che hanno anche le raffinate sfumature richieste dalla Pavane di Edgar Fauré.

Fotografie di Giuseppe Lanno © Bologna Festival