Image

Musica “On the Road”: il viaggio infinito di Giovanni Sollima

di Luca Segalla

Ogni nuovo CD di Giovanni Sollima rappresenta un’avventura, per l’interprete come per l’ascoltatore. È un’avventura che nasce a poco a poco attraverso gli anni, dalle sue esperienze di inquieto e inesausto viaggiatore della musica, sempre alla scoperta del diverso e dell’ignoto, attratto da tutto quanto appartiene ad altre culture, di cui si appropria con la passione dell’esploratore e con l’ossessione del collezionista (nella sua casa di Milano Sollima possiede oltre un milione di canzoni popolari, tra spartiti, file audio e trascrizioni). Tutti questi frammenti di musica si sostanziano poi - ma è un processo creativo molto lento - in improvvisazioni e melodie che una volta fissate in una registrazione possono continuare a vivere nell’immaginazione di chi le ascolta, perché la musica di Sollima ha il potere di stimolare l’ascoltatore, di provocarlo, di smuoverlo dalla rassicurante passività delle sue abitudini culturali.

Avviene anche con l’ultimo CD del violoncellista siciliano, Natural Songbook (da poco uscito per Warner Music Italy), nato nel corso di un decennio a partire da materiali spesso improvvisati e scritti in modo informale, con rielaborazioni di temi popolari dell’Italia meridionale e dell’Albania, “falsi” storici nello stile del Classicismo viennese (Sonata 2050) e trascrizioni da Satie e da Scott Joplin, a cui si affianca il singolarissimo The N-Ice Cello Concerto, composto per un fantascientifico violoncello di ghiaccio. Per Sollima un concerto e un disco sono qualcosa di più di una semplice esperienza estetica, sono un viaggio nell’anima, in cui la musica sembra recuperare la sua antichissima dimensione sacra e pre-culturale (il titolo, Natural Songbook, non è certamente stato scelto a caso) e l’interprete torna ad essere una sorta di sciamano-guaritore in contatto con le forze occulte della Natura.

«Ho raccolto molte impressioni nel corso del tempo, viaggiando e incontrando altre culture e soprattutto cercando il contatto con la musica popolare, impressioni alle quali si è poi aggiunto il N-Ice Cello Concerto: così si è creata, quasi da sola, una linea, si è creato un racconto, ed è nato il CD».

Quanto è importante il viaggio nel suo processo creativo?

«Il viaggio fa parte del mio lavoro di musicista, però il mio problema è che quando vado in un luogo per suonare a volte mi sento come un ladro, perché arrivo, mi esibisco e poi me ne vado subito via. Io ho bisogno, invece, di entrare in sintonia con un luogo e non solo con i suoi musei e il suo cibo, ma soprattutto con i suoi suoni, con la sua musica, in particolare con quella che si può ascoltare per strada. Forse, però, il mio viaggio è iniziato già da bambino: io viaggiavo senza saperlo, perché vivevo in Sicilia e la Sicilia è un luogo di incontri, un luogo di memorie e quindi è un luogo di viaggi».

Si sente più interprete o compositore?

«È una domanda che mi hanno fatto spesso e a cui molte volte non ho nemmeno voluto rispondere, perché per me questa distinzione ha poco senso. Sono cresciuto studiando musica con mio padre, come si faceva nel Settecento, quando lo studio di uno strumento e lo studio della composizione andavano in parallelo. È stato il Novecento ad introdurre questa strana distinzione tra compositore ed interprete, che io stento a capire e che per fortuna oggi si sta superando. Posso dire, in ogni caso, che se mi togliessero il violoncello soffrirei moltissimo e quindi scriverei meno: per comporre ho bisogno di “sporcarmi le mani” sul mio strumento».

Nel suo nuovo CD possiamo ascoltare anche The N-Ice Cello Concerto, un pezzo per un violoncello di ghiaccio: sembra impossibile…

«L’ho suonato in una bolla a - 12 gradi, la stessa che nei Paesi nordici si usa per passare le notti in mezzo alla foresta ad osservare le stelle, su un violoncello fatto di ghiaccio, tranne naturalmente le parti meccaniche, la tastiera, il manico e le corde. Per la precisione i tipi di ghiaccio sono tre: neve solidificata, ghiaccio scolpito e ghiaccio ricavato dall’acqua. Lo strumento viene amplificato perché il suono deve essere portato fuori dalla bolla, ma in realtà possiede una grande risonanza naturale, una dissolvenza molto lenta dei suoni».

Come è nata l’idea?

«Il violoncello di ghiaccio è stato realizzato dieci anni fa da un artista e scultore americano che vive in Svezia, Tim Linhart. Nel tempo Linhart lo ha perfezionato, fino a quando ho potuto suonarlo in occasione del Festival “Ice Music” in Val Senales».

Che esperienza è suonare a - 12 gradi? Immagino sia un problema far andare le mani e le dita con una temperatura così bassa...

«In realtà suonando ci si riscalda e alla fine il freddo non lo si sente. Con il violoncello di ghiaccio ho anche fatto un tour ed è stata un’esperienza molto bella, perché questa sorta di UFO musicale fa nascere delle interazioni molto interessanti con il pubblico».