Musica, finalmente! L’Associazione Chamber Music di Trieste riparte da Beethoven

di Stefano Crise

Musica, finalmente! L’Associazione Chamber Music ha ripreso l'attività offrendo, obtorto collo, degli spunti di novità al rito concertistico. Si è optato, ad esempio, per esibizioni di cinquanta minuti circa, ripetute due volte nella stessa giornata. In questo modo è stato possibile ascoltare il programma tutto d'un fiato, apprezzando, senza interruzioni, la musica eseguita. La distanziazione tra posto e posto a sedere, se da un lato ha ridotto inevitabilmente l'uditorio, dall’altro, però, ha posto l'ascoltatore in una condizione invidiabile per poter gustare la musica estraniato da ogni vicinanza. La voglia di ricominciare, rimuovendo ogni tipo d'ostacolo, è stata, perciò, una scelta vincente da ogni punto di vista, ad iniziare dal programma dei tre concerti, due dei quali dedicati all'integrale delle Sonate per violoncello e pianoforte di Beethoven.

Il duo formato da Monika Leskovar (violoncello) e Martina Filjak (pianoforte) ha aperto questa mini stagione nella stagione con le due Sonate più eseguite tra le cinque. Con l'op.5 n.2 in Sol minore siamo in un mondo di una certa leggerezza se rapportato alle composizioni più mature di Beethoven, tuttavia la Sonata in Sol minore riveste un valore emblematico per questo specifico gruppo cameristico. Beethoven, con l'op.5 rivoluziona il duo strumentale ponendo le basi per quell'equilibrio tra esecutori che sarà l'aspirazione di ogni composizione cameristica. Il bilanciamento tra i due strumenti è ancora alla ricerca di un più solido equilibrio, ma con l'op.5 n.2 lo stacco col passato è evidente e permette a Beethoven di proporre mondi sonori, all’epoca, sconosciuti. Monika Leskovar ha saputo trarre dal suo Vincenzo Postiglione del 1884 sonorità intense contrappuntate dalla presenza esuberante del pianoforte di Martina Filjak. La fusione tra le interpreti ha arricchito anche l'esecuzione della Sonata in La maggiore op.69 apprezzata per la cantabilità ma anche per la tensione che ha tradotto l'eroismo beethoveniano con rigore. Lettura sempre coerente che ha fortificato la struttura della composizione, uscita granitica e compatta.

Con l'op.69 si respira la temperie delle grandi opere beethoveniane del periodo di mezzo, Quinta e Sesta Sinfonia, il Quarto Concerto, il Concerto per violino o la precedente Sonata a Kreutzer di cui l'op.69 ne è, all'inizio, una eterea citazione formale. Nelle ultime due Sonate op.102 il compositore si stacca dal mondo contemporaneo e rivoluziona, ancora una volta, la stessa concezione strutturale e contenutistica della Sonata. L'uso di forme imitative, in costruzioni già rielaborate in modo originale da Beethoven, produce una evoluzione nel suo discorso musicale. Usa una forma del passato per creare una produzione proiettata al futuro, in una sorta di postmodernismo ante litteram. È soprattutto l'op.102 n.2 in Re maggiore che offre elementi stimolanti perché ricca di sorprese spiazzanti: nell’Allegro con brio il primo tema, formato da tre nuclei, esordisce con concisione e immediatezza nervosa, è poi seguito dall’Adagio con molto sentimento d’affetto, in forma di canzone, dal lirismo interiorizzato, collegato all’Allegro fugato dal fascino rigoroso non privo di una inconsueta levità e punto di svolta nell’ultimo periodo creativo. Il duo formato da Ella e Nicolas van Poucke ha affrontato l’esordio dell’Allegro con brio mostrando alcuni elementi caratteristici del loro modo d’intendere la musica da camera: grande respiro nel fraseggio, approfondito ragionamento e piani sonori calibrati. Anche il resto del programma, Sonata n.1 in Fa maggiore op.5 n.1 e n.4 in Do maggiore op.102 n.1, si è fatto apprezzare per la particolare sensibilità degli interpreti pur in mondi sonori eterogenei. I due fratelli hanno fatto ammirare anche particolari qualità strumentali: il pianismo di Nicolas dal suono incisivo e, all'occorrenza, più discreto; l'intensa passione interpretativa della ventiseienne Ella che ha tratto dal suo Peter Rombouts dal timbro affascinante, un vibrato di forte espressività.

Legato ai due concerti beethoveniani quello conclusivo del Trio Sossai – Dalsass – Bolla che sa trasformarsi anche in altre formazioni. Si è ascoltato così un altro duo per violoncello e pianoforte, Marco Dalsass (violoncello) e Michele Bolla (pianoforte), nell'esecuzione della Sonata in Re minore (1915) di Claude Debussy. Nel Prologue si è imposta la vivacità e una certa ironia timbrica anche all’interno del solido approccio virtuosistico. Questa Sonata contiene molti elementi diversificati che la rendono particolarmente vivace specie se resa, come in questo caso, con slancio ritmico e da un’agogica e un rubato ben calibrati. Dino Sossai (suona un Enrico Ceruti del 1871) e Michele Bolla hanno eseguito la Sonata per violino e pianoforte (1943, rev. 1949) di Francis Poulenc dall’universo sonoro armonicamente evoluto, ricco di citazioni e autocitazioni ma anche documento del rapporto di amore e odio del compositore verso questa formazione. Il duo ha dato una lettura intensa e partecipata di un'opera che contiene elementi di raffinata sonorità e di coinvolgente drammaticità. Ed in fine il Trio in Sol maggiore del diciassettenne Claude Debussy dove sottolineature armoniche, elementi dinamici ed evocazioni timbriche hanno coronato il concerto e, idealmente, tutta questa rigenerante rassegna di autentiche eleganze sonore.

Musica, finalmente! Grazie Chamber Music, se ne sentiva la mancanza.