Eleganza e virtuosismo: una serata francese a Santa Cecilia

di Luca Lucibello

Due sono i casi nei quali un Concerto solistico, messo su con un’unica prova, può ottenere un risultato d’eccellenza: quando l'incontro tra solista, orchestra e direttore crea un'imprevedibile sinergia che supera la somma delle parti (in psicologia nota come “teoria della Gestalt”) oppure quando tra loro c’è un’affinità maturata in tanti anni di concerti insieme. La bellissima esecuzione del Primo Concerto per violoncello di Camille Saint-Saëns, ascoltata giovedì scorso al Parco della Musica di Roma con Luigi Piovano nel ruolo solistico con i colleghi dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e la direzione di Antonio Pappano rientrava sicuramente in questa seconda casistica. Il giorno dopo il concerto, infatti, Piovano e Pappano (qui in veste di pianista) hanno festeggiato quasi vent’anni di concerti insieme in giro per l’Italia e non solo presentando il loro primo disco, Brahms e Martucci per l’etichetta Arcana. Oltre alla lettura con l’orchestra prima del concerto, è bastata quindi una breve prova del pezzo in camerino, col pianoforte, per elaborare insieme delle idee (tra tutte un pianissimo nella ripresa al limite dell’udibile che ha fatto letteralmente trattenere il respiro al pubblico) e un’esecuzione di grande coerenza e forza espressiva, dove Piovano ha sfoggiato, con il suo Alessandro Gagliano del 1710 dal suono potente e vellutato, virtuosismo tecnico e un lirismo di grande nobiltà. E al termine il primo inchino è stato per i colleghi orchestrali che, come il pubblico, lo applaudivano calorosamente. Come bis un Volo del Calabrone che aveva tutta la leggerezza e la brillantezza possibili sul violoncello.

Prima di Saint-Saëns ad aprire la serata è stato Le tombeau de Couperin di Maurice Ravel, concepito come Suite per pianoforte negli anni della Prima guerra mondiale e orchestrato nel 1919 dallo stesso autore escludendo due dei sei movimenti originali. In questo lavoro Ravel rende omaggio alla musica francese del ’700 reinterpretandone gli stilemi in chiave moderna, con un’ironia e un’eleganza che ben trasparivano nell’interpretazione di Pappano e dell’orchestra.

Per concludere la Sinfonia in Do, composta nel 1855 da un giovanissimo Georges Bizet che diciassettenne frequentava allora il corso di composizione al Conservatorio di Parigi. A lungo sconosciuta, fu eseguita solo nel 1935, dopo che l’autografo fu donato alla biblioteca del Conservatorio e capitò nelle mani di Jean Chantavoine, critico musicale e fervente ammiratore della musica di Bizet. Una pagina da noi purtroppo raramente eseguita nonostante  si tratti di un lavoro fluente, ben disegnato, che emana una tenue aura romantica. Doveroso sottolineare i seducenti soli dei fiati nell’Adagio, magnificamente eseguiti dalle prime parti della compagine ceciliana.