Per la prima volta in Italia la Fantasia per violoncello e orchestra di Weinberg. Gnocchi: «un pezzo irripetibile, unico, e indimenticabile»

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Giovanni Gnocchi e la Streicherakademie Bozen

Giovanni Gnocchi sarà protagonista nei prossimi giorni con l’Accademia d’archi di Bolzano di una tournée in alcuni dei luoghi più suggestivi dell’Alto Adige: l’8 agosto al Teatro Comunale di Vipiteno (ore 20:30), il 9 alla Vereinshaus Peter Mayr di Longomoso (20:30), il 10 a Casa Ragen a Brunico (20) e l’11 nell’ambito del BolzanoFestivalBozen a Castel Mareccio (20:30). Il programma dei concerti prevede l’esecuzione della Kammersinfonie Op.110 di Shostakovitch, del classico Concerto per violoncello in Do maggiore di Haydn e, per la prima volta in Italia della Fantasia per violoncello e orchestra Op.52 di Mieczysław Weinberg.

«Densa di malinconia, dai toni inizialmente scuri che portano ad una catarsi finale, ma sempre dalla vena struggente e irrisolta, intrisa per contrasto nella sua parte centrale di danze sfrenate, martellanti, di chiara ispirazione popolare e delle tradizioni Yiddish e polacche, e con un’orchestrazione assolutamente unica se non addirittura stramba (archi, un flauto, una tromba, tre corni), la Fantasia op.52 di Weinberg è senza dubbio un pezzo irripetibile, unico, e indimenticabile» ha commentato Giovanni Gnocchi.

Eseguita per la prima volta a Mosca nel 1953 con Daniil Shafran come solista, la Fantasia è stata scritta proprio negli anni più difficili della vita del compositore polacco: proprio nel 1953 Weinberg venne rinchiuso in prigione su ordine del regime sovietico con l’accusa di nazionalismo borghese ebraico, dopo aver assistito qualche anno prima anche all’assassinio del suocero, sempre su ordine di Stalin, ed esser stato pedinato, spiato, seguito per anni dalla polizia del regime. Solo un’intercessione di Shostakovich presso il politico Lavrentiy Beria (capo del NKVD, il futuro KGB), e la morte di Stalin avvenuta un mese dopo l’incarcerazione, consentirono al compositore di tornare in libertà. Le accuse che gli erano state mosse erano quelle di “formalismo” o “cosmopolitismo”, che altro non erano se non un modo per mascherare l’antisemitismo del regime e per ostacolare la cultura ebraica.

Tutto questo quadro assume un carattere ancora più tragico ed estremo se consideriamo anche la giovinezza del compositore, trascorsa a fuggire di continuo dalle discriminazioni antisemite, prima dalla nativa Varsavia per l’ingresso dei nazisti nel 1939 (mentre alcuni familiari furono internati nel ghetto di Lodz e poi uccisi nei campi di concentramento), rifugiatosi prima a Minsk, poi in Uzbekistan a Tashkent ed infine a Mosca, dove però si sentì sempre come un esule in patria. Il talento di questo compositore fu notato in primis da Shostakovich che ne divenne uno dei più devoti ammiratori, promotori, nonché amico e persino vicino di casa, e che si pensa ne fu pure molto influenzato, in particolare nell’introduzione di melodie e temi ebraici nelle sue composizioni. Nonostante questo, nonostante una vena compositiva enorme e prolifica (26 Sinfonie, 17 Quartetti, 28 Sonate per vari strumenti e più di una dozzina di Opere e Operette) e l’enorme ammirazione da parte di musicisti come Mstislav Rostropovich, Emil Gilels, Kirill Kondrashin, Kurt Sanderling, Leonid Kogan, Weinberg non ebbe grande fortuna in Unione Sovietica, se non in tarda età, e per vivere dovette comporre anche per il cinema o il circo.

«In Europa si sta assistendo negli ultimi anni ad una evidente riscoperta del compositore – ha constatato Gnocchi -, sicuramente grazie a musicisti come Gidon Kremer, Martha Argerich, Vladimir Jurowski, e molti altri, mentre sicuramente in Italia rimane ancora ingiustamente nell’ombra, nonostante molti lo considerino già ora come uno dei tre più importanti compositori sovietici del ’900, assieme a Shostakovich e Prokofiev».

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