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Giuseppe Gibboni e Carlotta Dalia iniziano un’estate nel segno di Paganini

di Luca Segalla

Il nome di Paganini li unisce come un filo tenace e robusto. Sono il violinista Giuseppe Gibboni e la chitarrista Carlotta Dalia, ventun anni lui e ventitré lei, coppia nella vita e nella musica. Suonano infatti i due strumenti prediletti dal grande genovese, il quale, come è noto, oltre a essere un fenomenale virtuoso del violino - anzi, il virtuoso per eccellenza - era anche un eccellente chitarrista, ed entrambi hanno vinto un Premio Paganini, Carlotta Dalia il Paganini chitarristico a Parma nel 2019, Giuseppe Gibboni il Paganini violinistico a Genova, lo scorso ottobre. Suonare insieme, con queste premesse, viene quasi naturale, dando tra l’altro una visibilità del tutto straordinaria a un duo di solito confinato in piccole stagioni cameristiche, anche per i problemi di sonorità che comporta e che spesso costringono, negli spazi aperti e nelle sale di medie e grandi dimensioni, all’amplificazione.

Di amplificazione, però, non c’è stato alcun bisogno nel recital, uno dei primi della loro lunga tournée estiva in giro per l’Italia, di domenica 26 giugno a Gazzada Schianno, alle porte di Varese, per la stagione “Musica in Villa”, sotto il porticato della settecentesca Villa Cagnola. Si suona in uno spazio molto particolare, un porticato chiuso da due edifici dietro il piccolo palcoscenico e sul fondo ma aperto sui lati, una vera e propria cassa di risonanza che unisce i vantaggi acustici di un concerto in una sala al fascino paesaggistico e architettonico di un concerto all’aperto.

Suonano molto bene, naturalmente, Gibboni e Dalia. Suonano soprattutto in modo diretto e con vivacità e suonano con due personalità distinte, il violinista salernitano con l’estro e l’istinto virtuosistico che da sempre lo contraddistinguono, la chitarrista grossetana con un’eleganza sottile e leggera. È questa apparente disarmonia a rendere interessante il loro duo, a vivacizzare le loro interpretazioni, a conferirle un tocco di imprevedibilità.

Lo ho rivelato subito in apertura di serata una Sonata concertante op.61 di Paganini in cui Gibboni esibiva un virtuosismo fiammeggiante, mentre Dalia fraseggiava con più grazia, nel segno di un intimismo salottiero. Qualche dettaglio era da mettere a posto e gli equilibri sonori a volte erano sbilanciati verso il violino, ma l’impressione generale è stata di un’estrema freschezza, soprattutto nel brillante frizzante movimento conclusivo. L’istinto virtuosistico di Gibboni è poi esploso con tre dei Capricci per violino solo di Paganini, il primo, il quinto e il ventiquattresimo, gli stessi proposti nel recital dello scorso 28 marzo alle Serate Musicali di Milano con il pianista Ingmar Lazar, che abbiamo recensito sempre su questo sito. Abbiamo ritrovato la stessa vitalità, la stessa facilità nel colpo d’arco, la stessa precisione dell’intonazione, lo stesso controllo dei dettagli anche alle velocità più estreme, anzi possiamo dire di aver ascoltato un Gibboni in stato di grazia, capace di far venire, letteralmente, i brividi al pubblico. È accaduto in particolare nel Capriccio n.24, che nelle sue mani è tutto un ribollire di energia fin dal fraseggio spigoloso, tutto scatti, con cui viene enunciato il Tema per poi letteralmente decollare nelle Variazioni, eseguite a velocità estreme e con estrema precisione in ogni dettaglio, anche in virtù della prontezza della risposta dello Stradivari di cui Gibboni dispone da un paio di mesi, affidatogli dalla Fondazione Beare di Londra, uno strumento straordinario anche per la qualità del timbro e il volume del suono.

Quanto sia diverso l’approccio alla musica da parte di Carlotta Dalia lo hanno rivelato le due pagine per chitarra sola della serata, le Variazioni sul carnevale di Venezia di Paganini/Tárrega e il Capriccio n. XVIII di Mario Castelnuovo-Tedesco. In un brano iper-virtuosistico come le Variazioni sul carnevale di Venezia la chitarrista toscana ha scelto infatti un approccio più sfuggente, cercando i chiaroscuri e un fraseggio sempre morbido, senza esagerare con gli stacchi di tempo e anzi mostrandosi più incline ai rallentandi che agli accelerandi, mentre si è abbandonata al Capriccio di Castelnuovo-Tedesco con un delicato lirismo.

Il virtuosismo fiammeggiante di matrice paganiniana ha finito per investire anche i quattro pezzi della Suite Histoire du tango di Astor Piazzolla, originale per flauto e chitarra, affrontati nel segno di una frenesia ritmica che era molto efficace per l’impatto sul pubblico ma che sorvolava sugli aspetti più conturbanti della musica del compositore argentino. È del resto un duo giovanissimo quello di Gibboni - Dalia, poco incline quindi a dare peso alla ruvida nostalgia di Piazzolla, alla sua musica “sporca” e aggressiva, un duo solare e pieno di slanci che infatti è andato a nozze con l’ultima pagina del programma, una trascrizione per violino e chitarra della celebre Campanella paganiniana, vale a dire del finale del Concerto per violino e orchestra in Si minore n.2. Se il violino di Gibboni, preso da una vera e propria frenesia del ritmo e del fraseggio, era più acceso della chitarra di Dalia, molto più prudente (così però deve essere: la chitarra in questo caso accompagna), insieme sono stati protagonisti di un’interpretazione convincente e travolgente: i lunghissimi applausi finali, con tanto di bis di uno dei brani dell’Histoire di tango di Piazzolla, ne sono stati la conferma.

Fotografie: Dall'Osto by foto Dia Dema Azzate