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La sicurezza e le accensioni emotive del Trio Orelon a “LagoMaggioreMusica”

di Luca Segalla

C’è una sconvolgente concretezza materica nell’approccio alla musica del Trio Orelon. Lo avevamo notato lo scorso anno seguendo dal vivo la finale dell’11ª edizione del Concorso Internazionale “Franz Schubert und die Musik der Modern” a Graz, dove la violinista Judith Stapf, il violoncellista Arnau Rovira i Bascompte e il pianista Marco Sanna ottennero il primo Premio. Lo abbiamo avvertito di nuovo fin dalle prime note del Praeludium e Aria del Trio in La minore op.24 di Mieczyslaw Weinberg, la pagina con la quale si apriva il loro doppio concerto ad Arona per LagoMaggioreMusica, nella piccola e preziosa Sala degli Specchi della settecentesca Villa Ponti.

Il festival estivo della Gioventù Musicale d’Italia è stato un approdo naturale per il Trio nato nel 2018 in Germania dall’incontro tra una violinista tedesca, un violoncellista spagnolo e un pianista italiano, perché la principale ragione d’essere di LagoMaggioreMusica è proprio quella da offrire visibilità ai giovani vincitori di concorsi internazionali.

Più insolita ma molto stimolante è stata l’idea dei due concerti consecutivi, alle 19.00 e alle 21.00, con una pausa di circa un’ora tra l’uno e l’altro per dare al pubblico la possibilità di gustare la musica con un ritmo più rilassato rispetto a quanto avviene negli appuntamenti delle stagioni invernali.

Ritmo rilassato che in realtà non si ritrova nel modo di suonare dell’Orelon, ad Arona tutto teso a mettere in luce le nervature ritmiche del Trio di Weinberg e la durezza del suo profilo melodico che molto ricorda Šostakovič, con il quale il compositore polacco di nascita e sovietico di adozione fu in stretto contatto (e ricorda  Šostakovič anche il clima asfissiante dell’Aria, con la sua enigmatica melodia che sembra non andare mai avanti). Nell’ostinato percussivo del pianoforte, reso a meraviglia dell’ottimo Marco Sanna, con cui si apre il secondo movimento del Trio (una Toccata), c’è invece qualcosa del pianismo barbaro di Bartók mentre nel successivo Poem il pianoforte inizia con un disegno dal sapore improvvisativo aprendo la strada alla cupa entrata del violoncello sui pizzicati del violino, in un progressivo addensarsi della scrittura e in un progressivo crescendo emotivo che l’Orelon ha saputo portare a un altissimo grado di tensione, per poi approdare a un Finale pieno di spunti imitativi (a un certo punto c’è una vera e propria Fuga) ma anche di tratti popolareschi, in un suggestivo e inquietante rimescolamento tra musica colta e musica bassa.

Con la leggerezza e la trasparenza del Trio in Do maggiore K548 di Mozart, invece, l’Orelon è apparso meno in sintonia, perché la tendenza a enfatizzare il canto e i contrasti dinamici ha portato a qualche scompenso e soprattutto a qualche durezza nel fraseggio, anche se tutto era quasi sempre nitido e pulito e il Finale in particolare aveva una freschezza contagiosa nella sua vivacità ritmica; in ogni caso la musica di Mozart richiede agli interpreti una trasparenza nel suono e un’eleganza che non sono le cifre stilistiche dell’Orelon, anche se in questo caso, probabilmente, l’interpretazione non era stata messa a punto con la stessa cura dedicata al Trio di Weinberg.

Il secondo concerto a Villa Ponti ruotava intorno a un unico brano, il lungo Trio in Mi bemolle maggiore op.100 n.2 D929 di Schubert che era stata una della pagine presentata dal Trio Orelon al Concorso di Graz e che in questa occasione ha rappresentato un’esperienza di ascolto ancora più emozionante.

La precisione esecutiva dell’Orelon, la concentrazione sui dettagli, l’amalgama e il bilanciamento sonoro, l’intensità del dialogo, la capacità di far cantare la melodia - penso al secondo tema dell’Allegro iniziale - sono ammirevoli e già le avevamo ammirate a Graz; in questo caso, però, abbiamo avvertito una scioltezza e una libertà nell’espressione che a Graz non c’erano (ma nei concorsi, come è noto, la necessità di dover fare tutto o quasi tutto in modo perfetto diventa un freno inibitorio).

È abbastanza evidente che il Trio Orelon non è incline a crogiolarsi nella melanconia e a lasciare macerare la musica schubertiana nella mortifera palude del narcisismo dolce-amaro, infatti il secondo movimento, col suo ritmo puntato da marcia funebre, è scivolato via piuttosto spedito, però nell’esecuzione ad Arona i tre giovani interpreti hanno trovato un’ammirevole sintesi tra la necessità di far scorrere e respirare la musica (il terzo movimento aveva la leggerezza e l’eleganza che avremmo ascoltato volentieri anche in Mozart), la precisione dell’insieme e l’intensità espressiva.

Sono stati cinquanta minuti di musica da ascoltare trattenendo il fiato, nel segno di un’emotività accesa e travolgente e di tempi quasi sempre molto mossi, anche e soprattutto nell’Allegro moderato conclusivo, con il suo primo tema di sapore popolare, esposto dal pianoforte, e un secondo tema che in questa interpretazione appariva molto nervoso, preludio al ritorno del malinconico tema principale del secondo movimento, che nella frenesia della lettura dell’Orelon è arrivato come una sferzata improvvisa a scombinare un’armonia che come in tutte le composizioni degli ultimi mesi della vita di Schubert è solo apparente.

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