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Musica da camera per pochi intimi al Museo Teatrale della Scala con Enrico Bronzi e Giovanni Bertolazzi

di Luca Segalla

Atmosfere d’altri tempi e profumi musicali di epoche antiche nel concerto del tardo pomeriggio dell’11 ottobre a Milano, nella piccola Sala Esedra del Museo Teatrale della Scala. Protagonisti il violoncellista Enrico Bronzi e il pianista Giovanni Bertolazzi, ospiti in uno degli appuntamenti organizzati dall’Associazione “Musica con le Ali”, tutto dedicato a Sergej Rachmaninov in occasione dei 150 anni dalla nascita. D’altri tempi era l’ambiente che ha accolto - ma sarebbe meglio dire ha raccolto - musicisti e pubblico, quasi un salotto privato, e d’altri tempi era il colore del timbrico del pianoforte usato per l’occasione, il prezioso grancoda Steinway appartenuto a Liszt che rappresenta uno dei pezzi più pregiati del Museo. Ai concerti di “Musica con le Ali”, nati per aiutare la carriera di giovani musicisti di talento, il venticinquenne Giovanni Bertolazzi è abitualmente invitato, ma questa è stata un’occasione particolare, un momento di incontro tra un giovane brillante, capace di macinare furiosamente e senza alcun timore le migliaia e migliaia di note della Sonata per pianoforte n.2 in Si bemolle minore op.36 (versione del 1931) ma anche di abbandonarsi fino in fondo alla cantabilità languorosa del compositore russo, e un solista affermato e raffinato come Enrico Bronzi, il cui pedigree cameristico, come membro del Trio di Parma, è di quelli su cui non si discute.

Molto interessanti sono stati gli esiti, anche perché poter assistere a un concerto seduti a pochi metri di distanza dai due musicisti in una sala dalle dimensioni raccolte - qualche decina di sedie, tutte occupate - in un programma certamente impegnativo e virtuosistico ma impaginato come quello di un concerto in un salotto privato per l’alternanza tra brani per pianoforte solo e brani per violoncello e pianoforte, è un’esperienza da delibare come un vino raro. Ad accogliere il pubblico è stato Giovanni Bertolazzi in un’esecuzione fiammeggiante dell’Étude-Tableau in Do minore op.33 n.3, resa ancora più efficace dalla ricca tavolozza timbrica del vecchio Steinway di Liszt (perfettamente restaurato, ma che probabilmente negli ultimi mesi ha sofferto le temperature estreme e le escursioni termiche, visto che in questa occasione ha perso quasi subito l’accordatura) e quindi una Sonata n.2 come si è detto vigorosa e piena di slanci, nel segno del virtuosismo ma anche e soprattutto nel segno del dramma.

Quindi è arrivato il momento della Sonata per violoncello e pianoforte in Sol minore op.19, una pagina intrisa di melanconia ma molto esigente sul piano del virtuosismo per entrambi gli interpreti, che è contemporanea al funereo e teatrale Concerto per pianoforte e orchestra in Do minore n.2, al quale è legata anche a livello tematico. Bronzi e Bertolazzi appartengono a due generazioni diverse e diverso è stato il loro approccio alla Sonata, più morbido e quieto quello di Bronzi più mosso e nervoso quello Bertolazzi, ma questa diversità invece di costituire un limite ha dato vita a un’interpretazione dialogata e piena di sorprese. È stato emozionante come il violoncellista parmense ha lasciato respirare il primo tema del movimento d’apertura, facendo risuonare ogni singola nota, calibrando vibrato e dinamiche badando sempre all’equilibrio dell’insieme e all’eleganza dell’espressione, senza eccessi e senza esibizionismi, in un’interpretazione di gran fascino e di gran classe che ha raggiunto il suo momento più intenso nell’Andante, caratterizzato dalla morbidezza di un fraseggio sempre tutto ben legato, il quale poi andava a morire nel pianissimo delle battute conclusive. Nel movimento precedente, l’Allegro scherzando, si sono potuti apprezzare lo slancio ritmico e la qualità dell’amalgama timbrico, in una sala che se tende a dare eccessivo rilievo al pianoforte si rivela invece una cassa di risonanza naturale per il violoncello, mentre l’Allegro mosso conclusivo era appassionato e insieme sereno e raccolto, perché ancora una volta la cantabilità del fraseggio aveva modo di dispiegarsi in tutta la sua decadente opulenza. Anche nel bis hanno saputo sorprendere, Bronzi e Bertolazzi: una trascrizione del notissimo Vocalise op.34 affrontata a un tempo incredibilmente rapido e forse proprio per questo motivo stimolante e provocante, perché andava oltre il vecchio cliché di un languore rassegnato, nella direzione piuttosto di una cantabilità umorale e inquieta.

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