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Violino Giovanni Battista Guadagnini Violino “Salabue - Radicati – Berta” Torino 1774

di Alberto Giordano

Costruito nel 1774, poco tempo dopo l’arrivo del Guadagnini a Torino, fu forse il primo violino realizzato per il giovanissimo Conte Cozio il quale, solo alla fine dell’anno precedente, aveva voluto assicurarsi le prestazioni dell’anziano liutaio per mezzo di un contratto perfezionato dal suo procuratore Guido Anselmi. L’arrivo a Torino da Parma di Guadagnini concluse una lunga serie di percorsi di lavoro e di vita che mossero l’irrequieto liutaio attraverso Piacenza, Milano, Parma (con una brevissima stagione vissuta a Cremona) fino alla capitale dell’allora ducato sabaudo, nella quale forse sperava di avvalersi dei buoni uffici di Gaetano Pugnani, violinista di grido nell’Italia del secondo Settecento. Di eventuali contatti con il grande virtuoso nessuna traccia è rimasta, sappiamo tuttavia che il suo arrivo venne entusiasticamente salutato da Alessandro Cozio il quale, appassionato e competente dilettante, vide nel Guadagnini non solo l’artefice in grado di supportarlo nel commercio di nuovi strumenti ad arco, ma anche quell’abile procuratore capace di contribuire all’ampliamento della sua collezione. Furono questi gli anni felici della loro collaborazione, nei quali il Conte s’impegnava a fornire al liutaio non solo i migliori materiali ma soprattutto, quale vero mecenate, quei suggerimenti stilistici che l’avrebbero condotto verso una dimensione liutaria più raffinata, maggiormente rivolta alla classicità cremonese; il Guadagnini da parte sua, oltre a fornire strumenti nuovi e d’antiquariato, s’impegnava per mezzo delle sue conoscenze cremonesi a garantirgli l’acquisizione dei cimeli di bottega ancora in possesso della famiglia Stradivari. Fu forse a causa di incomprensioni, di spigolosità caratteriali o forse e soprattutto a causa di imputate scorrettezze del Guadagnini nel condurre occultamente certi affari, che questa collaborazione ebbe poco a durare, se già nel 1777 il contratto venne stralciato. Non fu tuttavia una rottura totale, dal momento che ancora per alcuni anni il liutaio compì vari interventi di riparazione per il Conte, sempre attraverso il suo procuratore Anselmi. Di certo fallimentare per il Cozio fu il tentativo di plasmare lo stile dell’anziano Guadagnini, spingendolo verso un percorso stilistico che questi non sentiva proprio: a distanza di venticinque anni dalla morte, scrivendo al Conte Alessandro Maggi a Cremona, Alessandro Cozio ancora se ne lamentava, ammettendo che non riuscì a fare di lui un copista: «Ho assai fatto lavorare il fu Giovanni Battista Guadagnini in Torino... ma poiché era uomo di nessun studio, materiale, tenace delle sue opinioni, poco paziente, con numerosa famiglia piccola di cui lui solo lavorava e che voleva, per ambizione, che i suoi strumenti, per il lavoro esterno e per la vernice, si conoscessero per fatti da lui, non mi riuscì di farlo lavorare sull’imitazione de’ primieri autori, meno sulle forme de’ medesimi». Parole queste che ben illustrano quella sana ostinazione del Guadagnini nel voler perseguire sempre il proprio stile, la propria naturale inclinazione al cambiamento, la propria creatività come sempre dimostrò nella sua lunga carriera. Il violino oggetto di questo breve scritto rappresenta uno degli esiti più alti compiuti dal Guadagnini, in perfetto equilibrio tra rispetto dell’antico, conoscenza dello stile stradivariano tanto caro al Conte e la sua propria individualità, perseguita attraverso la velocità e la spontaneità del suo gesto. L’etichetta originale che attesta la paternità del violino all’interno della cassa armonica, fu stampata su carta di spessa consistenza e con profonda impressione di stampa; si può notare come il Guadagnini avesse cambiato etichetta a seconda dei suoi spostamenti, nella consapevolezza dell’importanza del messaggio veicolato dal piccolo cartiglio: se a Milano e Parma fece uso ad esempio della croce patriarcale a doppio braccio (di pertinenza della famiglia Lorena già dal Medioevo), al suo arrivo a Torino cambia e riprende l’antica croce greca lobata già usata da Giuseppe Guarneri “del Gesù” e presente a Cremona sin dalla predicazione di Bernardino da Siena del primo Quattrocento: il messaggio della nuova etichetta sembra essere chiaro, l’ormai anziano liutaio, conscio della efficacia del brand cremonese, si vuole proporre quale ultimo rappresentante di quella gloriosa scuola, dichiarandosi successivamente persino nativo di Cremona e allievo di Antonio Stradivari.

Se il legno di acero usato per il ricciolo, le fasce e il fondo in taglio sub-tangenziale appare di bellissima qualità e di particolare bellezza nei suoi riflessi damascati, per la tavola armonica è stato impiegato un pezzo di minor pregio e, come evidenziato dall’indagine microtomografica condotta presso il Sincrotrone Elettra di Trieste dagli scienziati Franco Zanini, Diego Dreossi e Nicola Sodini, le due metà sembrano provenire da pezzi diversi, o quantomeno piuttosto distanti tra di loro nel caso fossero stati tratti dallo stesso ceppo. Dotate di considerevole elevazione in altezza, le bombature appaiono scolpite con grande destrezza, perfette nella loro esecuzione e nel raccordo con i bordi e la sguscia, e solo la naturale distorsione dell’acero del fondo ha creato alcune leggere deformità nel naturale fluire delle curve. Il violino fu costruito per mezzo di una forma interna di tipo cremonese dallo spessore piuttosto sottile (circa 10 millimetri), con tasselli in salice e controfasce del medesimo legno incastrate in profondità nei tasselli centrali, piegate con poca cura e quasi forzate nelle mortase. All’interno sono evidenti vari segni di rasiera e coltello, mentre all’esterno la piegatura delle fasce rivela la grande esperienza del Guadagnini che si compie nel contempo in un affascinante esercizio di sicurezza e trasandatezza, di mestiere e noncuranza verso la finitura, e in un certo disinteresse nell’eliminare i segni della lavorazione: sono quindi sempre visibili lungo il percorso delle fasce segni di leggero sbriciolamento della fibra a seguito della spessorazione a pialla, altri segni di rasiera, di lima, di coltello che ne hanno marcato la superfice durante la piega e soprattutto che l’hanno graffiata durante l’arrotondamento dei bordi interni.

Bellissima la bordatura del violino, fornita di un filetto potente e deciso che ne orna il percorso, composto da tre strisce di noce di spessore generoso e irregolare, mentre la sguscia che si va a raccordare con il bordo esterno è ampia e morbida, scolpita a sgorbia e pulita con la rasiera. I fori armonici che si aprono sulla tavola sono quanto mai rivelatori della virtuosa influenza del Conte Cozio sull’anziano maestro il quale, abbandonata la sinuosa e personale linea delle periodo di Parma, si rivolge con diligenza ed efficacia verso un disegno di chiara ispirazione stradivariana: in particolare colpiscono la finitura delle palette, ora garbatamente sgusciate e delicatamente raccordate alla bombatura, l’apertura dei fori che contrariamente alla tradizionale apertura a trapano vengono risolti con l’aiuto del solo coltello, e il loro aspetto circolare privo di quella particolarissima ovalizzazione che a lungo caratterizzò le effe del Guadagnini.

Nella scultura del ricciolo trapela ancora l’intenzione del liutaio nel voler accontentare l’esigente committente, nel volersi portare con efficacia verso un’estetica più stradivariana ripulendo il gesto, avendo cura di non lasciare visibili i ben noti punti di tracciatura del profilo, e in generale suggerendo tramite l’annerimento dello smusso tuttora parzialmente visibile, un’immagine possibilmente più raffinata.

La vernice che ancora oggi veste il violino si mostra nella sua preziosa trasparenza, nella sua migliore formulazione, tenacemente ancorata sopra un sottofondo cangiante, luminoso e rifrangente che ne rende piacevolmente mobile la visione.

Dotato di voce nobile e dorata il violino è particolarmente potente e, quasi a scapito delle alte bombature, risulta facile da suonare: «Ho suonato il Guadagnini “Salabue Radicati” per breve tempo» racconta Cristiano Gualco, Primo violino del Quartetto di Cremona, «e tra gli altri pezzi l’ultimo Quartetto di Schubert, un lavoro denso di potenza, colori delicati e poetiche melodie: ricordo quanto bene il violino rispondesse a ogni singola necessità, con il suo suono corposo sui bassi e la facilità di canto sulla prima corda; raramente ho vissuto un tale piacere nel suonare un violino».

Estratto dell'articolo pubblicato su Archi Magazine n.53 di maggio-giugno 2015

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