Lo strumento è l’amplificazione del suono che ognuno di noi ha dentro di sé
di Salvatore Accardo
Lo strumento è l’amplificazione del suono che ognuno di noi ha dentro di sé. Col tempo, acquisisce il nostro suono e lo conserva anche per molti anni.
Etienne Vatelot, uno dei maggiori liutai del nostro tempo, mi ha raccontato per esempio che una volta assistette con il padre, anche lui grande liutaio, alle prove di Zino Francescatti, al Théatre des Champs-Elysées di Parigi. Dopo dieci minuti il padre di Vatelot chiese al musicista: «Ascoltandoti ho l’impressione di sentire Kreisler e non te: come mai?». Francescatti rispose: «Forse perché sto suonando proprio il suo violino: il mio ha avuto un piccolo incidente e lui gentilmente me lo ha prestato». Un episodio analogo è capitato anche a me e per coincidenza riguarda proprio il violino di Francescatti, che avevo appena acquistato. A New York, durante l’intervallo di un mio concerto, un vecchio signore mi disse: «Secondo me il suo violinista preferito è Zino Francescatti»; gli chiesi cosa glielo facesse pensare, confermando che in effetti era uno dei miei prediletti. Il signore rispose: «Perché Lei ha il suo suono». Mi tornò in mente la storia di Vatelot e ridendo gli dissi che in quel momento suonavo il violino di Francescatti e che lui aveva un orecchio straordinario.
Il nostro strumento è una cosa viva, come lo sono il legno e la vernice. Sempre Vatelot mi ha riferito di strumenti la cui vernice, danneggiata in alcuni punti, ha riacquistato la propria integrità col tempo, senza che nessuno intervenisse. La vernice si è, per così dire, rigenerata.
Succede spesso che un musicista, acquistando un violino, si attenda miracoli da esso e, se le aspettative vengono deluse, scarica sullo strumento le proprie nevrosi: cambia ponticello, anima, catena, richiede modifiche continue. Secondo me bisognerebbe tener presente che il violino che suoniamo non ci appartiene; non siamo i proprietari, ma solo i depositari di opere d’arte che sono patrimonio comune. Francescatti per esempio ha suonato per 45 anni lo splendido Stradivari del 1727, l'Hart, che ora suono io: lo ha conservato nelle condizioni esatte in cui si trovava quando l’ha comprato e così me lo ha passato. In quei 45 anni lo ha lasciato vivere e così intendo fare io per passarlo, fra un maggior numero possibile di anni, a un altro violinista.
I giovani non devono sentirsi defraudati se non possono suonare subito uno strumento prestigioso e devono comunque convincersi che non è certo lo strumento a fare un grande violinista. Io ho cominciato la mia carriera e ho vinto nel ’56 il Concorso di Ginevra con un violino di fabbrica tedesco: era l’unico di cui potessi disporre. Dopo la vittoria sono riuscito a comprare il primo strumento di un certo valore, un Giuseppe Gagliano, e poi, dopo la vittoria al Paganini, un Giovanni Battista Guadagnini. Vendendo questi due ho acquistato un Montagnana e, poco per volta, nel 1968 sono arrivato al mio primo Stradivari. La gioia che si prova nel suonare uno strumento mitico come uno Stradivari fa parte delle conquiste, rappresenta una tappa della crescita, della maturazione, dell’affermazione. Sarebbe sbagliato cominciare da dove si deve finire: tutta la vita è una continua conquista e anche la musica deve esserlo.
Fotografia: Fondazione Stauffer