L'infinito minimale
di Giuseppe Ettorre
Strano “mestiere” quello del musicista… In un mondo pervaso da manie di grandezza, da gigantismo, in cui tutto deve essere Mega, Super, Iper o Multi, in cui le capacità degli hard disk si misurano in TeraByte e in cui si pensa prima a costruire faraonici ponti che a tutelare i luoghi che i medesimi ponti dovranno unire, noi musicisti, viceversa, passiamo ore e giorni a tentare di perfezionare ogni minimo e microscopico dettaglio, a ricercare la consonanza degli intervalli di terza, ad intagliare ed incastonare ogni singola nota nell’armonia e nell’unitarietà dell’Armonia Universale che noi, e solo noi, percepiamo come entità trascendente. Secondo me, la musica, più che le altre arti, trova la sua totale pienezza nell'infinitamente piccolo, e non nel macroscopico, nell'eclatante, nel palese. Certo, l’opera d’arte, che in musica si materializza dalla simbiosi fra composizione ed esecuzione, nella sua interezza può risultare grandiosa, a volte persino imponente, ed avere ampie dimensioni, ma analizzandola al microscopio, ci appariranno dettagli sempre nuovi, come in un infinito frattale sonoro.
L’esecuzione, sia essa di un passo d'orchestra come del passaggio più virtuoso di un concerto, dovrà tendere alla trasparenza assoluta per permettere la percezione di tutti i più piccoli dettagli della composizione, ed avere l'accuratezza necessaria allo scopo. Su di essa si potrà quindi costruire l’interpretazione, cercando in maniera quasi medianica di immedesimarsi con lo spirito dell’autore.
Per quello che è stata la mia esperienza, si avrà sempre la sensazione di non aver raggiunto la definizione massima, che possa esistere ancora una qualche particella da scoprire, e proprio questo senso di insoddisfazione, insito nel tentativo stesso di raggiungere in una dimensione fisica quello che è un concetto puramente matematico (l’infinitamente piccolo) sarà la molla, l’energia madre che riempirà la vita del musicista, in maniera quasi ossessiva.
Ho riscontrato in molti giovani studenti una incomprensione del concetto sopra esposto.
Tradotto in parole povere: molta preoccupazione e attenzione per i grandi movimenti, i cambi di posizione più ampi, la velocità di arco e di mano sinistra, ma scarsa precisione nell’esecuzione degli intervalli fondamentali (semitono, tono, terza, quinta) o dei colpi d’arco basilari, e ho osservato spesso, nei concorsi, espressioni di stupore quando ad alcuni candidati che chiedevano i motivi della loro esclusione, ho risposto, ad esempio, che c’erano problemi di intonazione. “Ma a me pare che i salti fossero giusti! Dove ho sbagliato?”. Difficile spiegare che gli intervalli di tono e semitono erano nella maggior parte dei casi imprecisi, e già ad un primo ingrandimento sarebbero apparsi completamente sfuocati. Io mi riferivo al microscopico, loro al macroscopico.
La tentazione di accontentarsi musicalmente di ciò che si ha e che è immediatamente visibile è forte, specialmente quando si sono raggiunti i primi obiettivi, ma è necessario considerare ogni punto di arrivo come una nuova base di partenza, un nuovo stimolo ad aggiornare il nostro software e ad aumentare la nostra risoluzione, per compiere un ulteriore avvicinamento all’infinito minimale e quindi alla nostra stessa anima di musicisti.
Giuseppe Ettorre