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Giuseppe Ettorre: cinque dita, cinque note

È sempre difficile trovare le parole giuste per spiegare concetti che hanno a che fare col mondo dei suoni, la cui interfaccia primaria è l’orecchio.

Ed è forse proprio da qui che voglio cominciare, ricordando la più banale delle cose riguardo la musica, ovvero che è fatta di suoni e non di segni scritti.

Le note scritte su uno spartito sono solo un mezzo attraverso cui ricostruire un mondo di suoni che devono riecheggiare all’interno del nostro cervello, e riempirlo di armonie, timbriche sonore ed anche idee, fraseggi; la partitura è come una specie di progetto dell’opera d’arte che noi andremo a ricreare ogni volta che la eseguiamo.

La tecnica strumentale deve quindi essere finalizzata alla conversione più fedele possibile del progetto (composizione) in suoni, elaborati e costruiti in primis all’interno di noi.

Ne consegue quindi che ogni punto di arrivo diventa anche un nuovo punto di partenza per esplorare nuove soluzioni, che volta per volta i brani che suoniamo ci sollecitano a trovare; in altre parole la tecnica è al servizio della musica e non viceversa (mai sacrificare un’idea musicale per un temporaneo limite tecnico ma ricercare ed esplorare ogni strada ed ogni mezzo che ne permettano la realizzazione, usando anche le dita dei piedi se necessario!)

Quello che ieri sembrava impossibile sul nostro strumento, oggi è spesso dominio di tanti valenti contrabbassisti, e quello che oggi sembra impossibile ed ineseguibile, magari troverà soluzione domani.

Aggiungo che l’evoluzione tecnica della liuteria e della fabbricazione delle corde permette oggi settaggi strumentali che aprono le porte anche per il contrabbasso a soluzioni già ampiamente adottate sugli altri strumenti ad arco.

Tutta questa lunga introduzione per metterci d’accordo, prima di andare nel dettaglio di diteggiature, passi d’orchestra, passaggi difficili del repertorio solistico, sulle soluzioni di tecnica a monte di essi; dobbiamo cioè parlare la stessa lingua o almeno vi devo fornire le indicazioni per decifrare correttamente quello che andrò a scrivere e a proporre, perché di proposte si tratta. Credo che nella musica di assoluto vi sia ben poco se non il ritmo, unica entità misurabile in maniera oggettiva e matematica, laddove ad esempio l’intonazione è dipendente dall’armonia.

Recentemente io stesso ho apportato numerose modifiche alla mia tecnica della mano sinistra: in particolar modo ho ampliato l’utilizzo dei cosiddetti “allargamenti” inserendoli a pieno titolo fra le posizioni “standard”, e non considerandoli più come eccezionalità, studiandoli quindi col medesimo rigore delle posizioni convenzionali. Mi sono spinto inoltre, in certi casi e per quanto riguarda le posizioni in tastiera, all’utilizzo della diteggiatura violoncellistica, cioè ogni dito un semitono, perlomeno laddove la lunghezza della corda lo consenta senza troppa difficoltà risultando paragonabile a quella del violoncello (normalmente su uno strumento di lunghezza corda media, dalla quarta posizione in poi, o anche prima se le mani lo permettono).

Sempre riguardo alle posizioni di tastiera, ho esteso l’arretramento del pollice-capotasto fino, eccezionalmente, alla prima posizione avanzata, cosa più semplice ed immediata se si suona seduti, meno ovvia se si suona in piedi come faccio io per possibili problemi di bilanciamento dello strumento.

Per ciò che riguarda le posizioni di capotasto, sulla base anche dell’osservazione e dello scambio di opinioni con alcuni miei illustri colleghi (fra i contrabbassisti è molto forte lo spirito della comunità), ho attivato l’utilizzo del quarto dito, il mignolo, portando quindi a cinque il numero di note disponibili per ogni posizione, con un effetto di tipo pianistico. Non trovavo razionalmente spiegabile con le “action” che si riescono a settare oggi sul contrabbasso e lo spessore di corde quali ad esempio le “Passione” della Pirastro (le mie favorite) il motivo per cui si dovesse suonare al capotasto come se ci avessero amputato un dito!

Per concludere un cenno proprio al settaggio dello strumento: se la tastiera è scavata con la giusta concavità, e la curvatura del ponte è congrua a quella della tastiera, ipotizzando una lunghezza standard che arrivi al Re armonico in chiave di violino, si può ritenere valida per l’orchestra un’altezza delle corde, misurata a fine tastiera, che vada dai 6-7 mm della prima corda ai 9-11 mm della quarta in maniera graduale. Una montatura per solismo al giorno d’oggi può addirittura scendere ancora e ridurre la differenza fra prima e quarta corda, ipotizzando anche un 4 mm per la prima corda fino a 6 mm della quarta. Una montatura di questo tipo richiede però che lo strumento non abbia risonanze spurie (i cosiddetti “lupi”) che causino vibrazioni anomale, ed una estrema precisione di arco, poiché il piano di vibrazione della corda, ovvero l’asse dei crini, dovrà rigorosamente essere mantenuto tangente alla curva della tastiera; peraltro non vi è altezza che basti a impedire il fastidioso “effetto frusta” (corda che sbatte alla tastiera) se a causa di uno scorretto uso dell’arco Il suddetto piano risulti, viceversa, secante.

Si potrebbe pensare che tutto ciò serva principalmente al repertorio solistico, ed è in parte vero, poiché permette con maggiore facilità l’esecuzione di brani trascritti da altri strumenti e che stanno acquistando larga diffusione sul contrabbasso, complice anche il repertorio piuttosto limitato e specialistico se paragonato ad altri strumenti, ma vi mostrerò anche quanti “passi” del grande repertorio orchestrale e cameristico possano essere risolti con successo grazie all’utilizzo di queste tecniche aggiornate.

Questa volta voglio proporre due “passi”, l’uno dal repertorio sinfonico e l’altro da quello solistico:

 

Beethoven IX Sinfonia, IV movimento

Queste diteggiature permettono una velocità addirittura leggermente superiore a quella indicata da Beethoven (cosa peraltro che capita piuttosto spesso nelle esecuzioni). Gli allargamenti sono evidenziati da una parentesi graffa orizzontale. La partenza del primo estratto arriva dopo una lunga serie di battute di pausa, per cui c’è tutto il tempo di preparare la posizione di capotasto arretrato.

Sempre nel primo estratto ho anche indicato con forcelle tratteggiate il “fraseggio” da seguire (trattasi solo di fraseggio e non di una dinamica vera e propria).

Più in generale, l’assenza di indicazioni dinamiche nel repertorio barocco e classico, non indica assenza di dinamiche e/o direzioni, o che bisogna rimanere inerti, ma che si deve seguire la dinamica “naturale” delle note, leggero crescendo verso l’acuto e diminuendo verso il grave, regoletta semplicissima ma che funziona (quasi) sempre.

 

J.S. Bach, Suite n.3 in Do Maggiore per violoncello solo, Preludio

In questi passaggi, da eseguirsi in ottava reale, il quarto dito (mignolo) è essenziale per poter realizzare in maniera fluida gli arpeggi, originariamente concepiti da Bach sul violoncello in posizioni piuttosto semplici col Sol vuoto in III corda ed accordatura per quinte, laddove il contrabbasso è accordato (solitamente) per quarte. La sfida è ottenere un qualcosa che scorra in maniera piuttosto semplice, e potersi quindi concentrare sulla stupenda progressione armonica. Un continuo spostamento di posizioni e troppi movimenti della mano sinistra rischierebbero di degradare in maniera inesorabile il risultato finale.

Anche la sequenza di bicordi della quart’ultima misura risulta possibile solo grazie all’utilizzo del quarto dito.

Si ponga particolare attenzione a muovere solo le dita necessarie: nel primo passaggio ad esempio quasi mai è necessario sollevare il dito che preme la II corda, e questo aumenta non di poco la “riverberazione” della nota.

Per finire, i due video dove trovate la mia esecuzione dei passi qui affrontati: