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Beethoven, Paganini, Schumann, in viaggio con Simon Zhu tra le anime del violino

di Lorenzo Montanaro

Per affrontare certe sfide servono l’entusiasmo e l’energia dei 22 anni, un pizzico di sana follia, ma anche una disciplina, un controllo e una resistenza da lasciare senza fiato. Sì, perché il programma proposto da Simon Zhu - astro nascente del violino, che mercoledì 24 gennaio si è esibito al Conservatorio di Torino, in duo col pianista Mamikon Nakhapetov per la Stagione dell’Unione Musicale - è di quelli da far tremare anche i virtuosi più solidi e affermati.

E del resto Zhu è ben abituato alle scalate. Nato e cresciuto in Germania, talento precocissimo, ha già collezionato successi come pochi altri. Il più recente è il Primo Premio, lo scorso autunno, al Premio Paganini, dove si è aggiudicato anche il Premio Speciale della Fondazione Pallavicino. Già nel 2021, il violinista aveva incantato la giuria del Concorso “Menuhin” a Richmond (Virginia), conquistando un secondo posto e altri riconoscimenti aggiuntivi. Insomma, parliamo di un interprete che ha tutte le carte in regola per stupire. E la tappa torinese della sua tournée cameristica ne è stata l’ennesima conferma.

Il concerto si è aperto con la Sonata in La minore per violino solo op.27 n.4 di Ysaÿe, affrontata da Zhu con una calma e una profondità espressiva davvero ammirevoli. Questo approccio ha reso palesi le sontuose radici barocche sottese a questa musica, pur se filtrate dai secoli. Poi è stata la volta della Sonata in Mi bemolle Maggiore op.12 n.3 di Beethoven, una pagina che in passato è stata guardata con un pizzico di sufficienza da certa critica, perché ritenuta ancora fortemente debitrice dei modelli mozartiani e del gusto settecentesco per l’intrattenimento. Il duo è stato molto efficace nel rivelarne, invece, le irregolarità nascoste sotto una forma apparentemente convenzionale e rassicurante. Ecco allora le occasioni di dialoghi imprevedibili tra violino e pianoforte, gli sforzati nel primo movimento, qualche fortissimo improvviso, il tutto alternato a momenti di lirismo cristallino (evidenti anche nella ricerca timbrica), a echi popolari e istanti di ingenua spontaneità.

Ma ecco che, poco dopo, il programma ha preso tutta un’altra direzione, aprendo il capitolo Paganini. Qui Zhu ha dismesso i panni dell’accorto ed equilibrato camerista, per vestire quelli del virtuoso, come da lui ci si aspettava. E d’altra parte il legame col genio genovese si sta facendo sempre più profondo e intimo. Non è un caso se, proprio a seguito della vittoria al Paganini, al giovane interprete è stato concesso di esibirsi suonando il Cannone, il leggendario strumento appartenuto al grande maestro. Zhu si è inizialmente cimentato con le Variazioni sul Tema rossiniano “Di tanti palpiti”, una tra le sfide violinistiche più ardite in assoluto. Nell’Introduzione, ha sfoggiato un suono da “gran seduttore”: caldo, dolce e potente. Da lì in avanti, è stato tutto un susseguirsi di acrobazie pirotecniche, eseguite con una tecnica sopraffina, mai però sfociata nel virtuosismo circense, ma sempre al servizio della ricchezza di fraseggio richiesta dall’autore. Qualche lievissima (umana, vien da dire) imperfezione nella Variazione costruita sugli armonici (ma, lo ripetiamo, stiamo parlando di un passaggio veramente “diabolico”) non ha tolto assolutamente nulla al fascino di un’esecuzione brillante e travolgente.

A seguire, il Capriccio n.5 («con arcate originali», notava, ammirato, qualche violinista presente in sala) e il celeberrimo n.24. In entrambi i casi, controllo tecnico impeccabile e grande musicalità.

Ma non era ancora tutto. A conclusione del concerto, Zhu e Nakhapetov hanno affrontato la Sonata in Re minore n.2 op.121 di Schumann, la cosiddetta “Grosse Sonate”. Altro mondo, evocato con rigore e struggimento, altra atmosfera sonora, sempre in bilico tra impeto romantico, tormenti e nostalgie.

Poi, visto l’entusiasmo del pubblico, gli interpreti non si sono risparmiati nei bis. Tra i fuori programma, il delizioso Tambourin Chinois di Fritz Kreisler. A questo virtuoso e compositore è dedicata la Sonata n.4 di Ysaÿe. Così, nel suo nome, si è idealmente chiuso il cerchio.