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Reggio Emilia: quattro quartetti d’archi aprono “Note oltre i confini” presentando in prima assoluta "Giochi" di Giovanni Bietti

di Luca Segalla

La musica da camera, in particolare la musica per quartetto d’archi, è un genere da coltivare con pazienza e dedizione. Agli interpreti richiede una consonanza di intenti e un lungo processo di affiatamento emotivo e affinamento esecutivo, al pubblico una concentrazione ben superiore a quella necessaria in un concerto sinfonico, agli organizzatori il coraggio di investire in un campo tanto affascinante quanto rischioso. Un campo che l’Associazione Amici del Quartetto “Guido A. Borciani” di Reggio Emilia coltiva da un quindicennio, lavorando sul duplice canale della collaborazione con le Scuole dell’Infanzia e delle Scuole Primarie da un lato, dell’organizzazione di appuntamenti cameristici e quartettistici a Reggio Emilia e in Provincia dall’altro, appuntamenti spesso articolati nella formula della lezione-concerto. Nel tempo gli Amici del Quartetto sono riusciti a radunare un pubblico fedele - ci sono anche molti giovani, una circostanza non scontata - e hanno creato un rapporto privilegiato con i migliori quartetti d’archi italiani, i giovani quartetti di quindici anni fa e i giovani quartetti di oggi.

Sabato 10 febbraio, nella Sala degli Specchi del Teatro Municipale “Romolo Valli” di Reggio Emilia, per l’inaugurazione della Stagione 2024, la quale al consueto titolo di “Note oltre i confini” affianca il sottotitolo di “Giochi”, i quartetti ospiti erano addirittura quattro: il Quartetto Noûs, il Quartetto Indaco, il Quartetto Guadagnini e il Quartetto Eos. Ascoltare quattro quartetti in una sola serata è un’esperienza più unica che rara, se si eccettuano le prove conclusive dei concorsi, e il pubblico presente - circa 150 persone sui duecento posti disponibili: un bel successo per una serata quartettistica - ha vissuto un’esperienza insolita anche per il repertorio; in programma, infatti, c’erano in prima esecuzione assoluta i quattro pezzi per quartetto d’archi composti da uno dei due direttori artistici della Stagione, il musicologo e compositore Giovanni Bietti (l’altro è il soprano Gemma Bertagnolli), e intitolati proprio Giochi, in piena sintonia con il sottotitolo del Cartellone.

“Suonare” è anche “giocare”, come ha ricordato lo stesso Bietti introducendo il concerto, ma giocare con i suoni del nostro tempo può rivelarsi un gioco complicato per il folto del pubblico, a cui il linguaggio della musica contemporanea è in realtà molto meno familiare del linguaggio della musica di Bach e di Mozart. Eppure in Giochi al rigore della forma compositiva si accompagnano una trasparenza della scrittura e un’urgenza dei gesti espressivi che riescono a far arrivare la musica al pubblico, anche perché i quattro quartetti protagonisti della serata hanno mostrato di credere fino in fondo al progetto, regalando ai presenti delle esecuzioni curate e intense sul piano espressivo. Bietti, inoltre, ha presentato con dovizia di dettagli ogni singolo brano, fornendo le coordinate necessarie per orientarsi nell’ascolto.

Alla base dei Giochi c’è l’idea di costruire quattro brevi pagine atonali ciascuna appunto “giocata” su un particolare schema compositivo. La norma che regola la costruzione di Gioco di specchi, affidato al Quartetto Indaco dei violinisti Eleonora Matsuno e Ida Di Vita, del violista Jamiang Santi e del violoncellista Cosimo Carovani, è l’antica tecnica del Canone per moto retrogrado, che prevede un perfetto rispecchiamento tra la prima e la seconda parte di una composizione, ma in questo caso il rispecchiamento riguarda anche la microstruttura del brano, perché i brevi incisi di uno strumento vengono subito ripresi, per moto retrogrado, da uno degli altri strumenti. Tra le maglie di una scrittura decisamente intellettuale, le cui logiche sono difficili da cogliere al solo ascolto, senza avere la partitura sotto mano, ma che a Reggio Emilia la spiegazione dello stesso compositore e le esemplificazioni fatte dagli interpreti prima dell’esecuzione hanno reso per così dire trasparenti al pubblico, affioravano momenti melodicamente più distesi, perché l’atonalità di Bietti non evita in senso assoluto la melodia, come invece la evitava l’atonalità del primo Novecento.

Il più intellettuale e astratto dei quattro brani si è però rivelato Gioco di ritmi, affidato al Quartetto Guadagnini dei violinisti Fabrizio Zoffoli e Cristina Papini, del violista Matteo Rocchi e della violoncellista Alessandra Cefaliello, costruito sulla sovrapposizione di quattro metri differenti. In Gioco di ritmi il rigore della costruzione formale si traduce in un movimento labirintico in cui l’ordine finisce per assomigliare al caos, come è tipico della musica costruita secondo precisi schemi matematici, in un suggestivo percorso di incastri ritmici che trova la sua quiete soltanto nella corrispondenza degli accenti raggiunta nelle battute conclusive.

Il Quartetto Noûs dei violinisti Ekaterina Valiulina e Alberto Franchin, della violista Sara Dambruoso e del violoncellista Riccardo Baldizzi ha invece interpretato il brano più lirico del ciclo, Gioco di colori, dove la sovrapposizione di quattro diverse modalità di produzione del suono (il primo violino con l’arco, il secondo violino usando costantemente la sordina, la viola suonando sul ponticello e il violoncello suonando sempre pizzicato) fa nascere atmosfere suggestive e vitree; in particolare il suono lontano e soffocato della viola sul ponticello crea un alone timbrico inquieto in cui si muovono frammenti di melodia spesso eseguiti in successione da tutti gli strumenti con un effetto all’ascolto simile a quello che si può provare osservando un oggetto che ruota continuamente passando tra la luce, la penombra e l’ombra.

Proprio sui chiaroscuri è giocato il quarto e ultimo brano, Gioco di ombra, interpretato dal Quartetto Eos dei violinisti Elia Chiesa e Giacomo Del Papa, del violista Alessandro Acqui e della violoncellista Silvia Ancarani. Alla sua base c’è la ricerca dell’eco, perché a un accordo o a un frammento melodico suonato forte da uno strumento vengono fatti seguire lo stesso accordo o lo stesso frammento suonati piano da un altro strumento, con ricorrenti glissandi a suggerire l’ombra che si allunga, mentre il finale riprende in modo assolutamente riconoscibile, chiudendo circolarmente il ciclo, l’inizio del primo brano.

In conclusione di serata i quattro quartetti si sono uniti per eseguire un altro lavoro di Bietti, la trascrizione per sedici archi dell’ultimo dei Preludi-Corali op.122 per organo composti nell’estate del 1896 da Johannes Brahms, “O Welt, ich muss dich lassen” (“O mondo, io ti devo lasciare”), una rassegnata e serena riflessione sulla morte che rappresenta anche l’ultima composizione brahmsiana in assoluto. È stato un momento di forte emozione, in cui l’originale brahmsiano sembrava moltiplicarsi in un gioco continui di echi e in cui la musica si allargava ad occupare lo spazio, vista la disposizione dei quattro quartetti lungo tutta la larghezza della sala, anche perché se l’amalgama timbrico e dinamico non era sempre perfetto - gestire alla perfezione gli equilibri di quattro quartetti che suonano insieme è però impresa improba - l’intensità dell’interpretazione, riproposta anche come bis, è stata davvero molto alta.

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