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La prima registrazione mondiale del Requiem di Mozart nella versione per ensemble d’archi

di Luca Segalla

Il quartetto d’archi veniva impiegato nel corso dell’Ottocento anche con finalità pratico-divulgative, quelle di rendere possibile l’esecuzione di pagine sinfoniche o sinfonico-corali in contesti cameristici e più genericamente domestici. Possiamo citare, come esempio, le versioni per quartetto d’archi e pianoforte dei concerti per pianoforte e orchestra mozartiani, una soluzione agile e funzionale nel caso in cui non fosse disponibile un’orchestra. Rientra in questa categoria la trascrizione per quartetto d’archi del Requiem di Mozart ad opera di Peter Lichtenthal, nato a Pressburg (l’attuale Bratislava) nel 1780 e morto nel 1853 a Milano. Lichtenthal compose Sinfonie, Balletti e Musica da Camera, scrisse il primo importante lessico musicale italiano (il “Dizionario e bibliografia della Musica”, in quattro volumi, apparso nel 1826) e fu amico di Karl Mozart, figlio di Wolfgang Amadeus. Partendo dalla trascrizione di Lichtenthal l’orchestra palermitana GliArchiEnsemble ha registrato il “Requiem” con un organico strumentale più ampio del semplice quartetto, una specie di doppio quartetto per archi con sei violini, due viole, due violoncelli e un contrabbasso (Da Vinci Classics C00106). Ne abbiamo parlato con Domenico Marco, il Primo violino della formazione palermitana fondata nel 2003.

Come è nata l’idea di registrare con un organico allargato la versione Lichtenthal del Requiem?

«Il caso ha voluto che fossimo in possesso del Requiem mozartiano arrangiato da Lichtenthal e così abbiamo fatto una ricerca sulla storia di una partitura che ci sembrava completa dal punto di vista armonico, perché riporta in tutte le sezioni le parti originali scritte dal Maestro. Diciamo che arrangiare uno dei capolavori più importanti della storia della musica classica e riproporlo con una formazione ridotta è stata un’impresa titanica ed altrettanto lo è stata affrontarla. L’arrangiamento di Lichtenthal è per quartetto d’archi, ma alla prova dei fatti - ci è bastato ascoltare alcuni brani su un CD - l’impressione è quella di una pagina povera di suono e priva della magnificenza e della teatralità del Requiem originale. Tuttavia la partitura di Lichtenthal è molto fedele all’originale sia nell’accompagnamento dei temi dei soli sia nei brani con il coro, pertanto abbiamo ritenuto di poterla eseguire in forma di doppio quartetto con l’aggiunta del basso, che di fatto raddoppia i violoncelli, per dare profondità e colore all’esecuzione».

La vostra è una prima registrazione assoluta?

«Ci sono due registrazioni della versione per quartetto d’archi, ma se parliamo della forma con organico allargato la nostra è una prima mondiale».

Può farci, in breve, la storia della versione Lichtenthal del Requiem?

«Peter Lichtenthal conseguì il dottorato in medicina nel 1808 a Vienna, dove fece anche studi musicali, una duplice formazione che lo spinse a scrivere un libro sui potenziali effetti curativi della musica. Nel 1810 si trasferì a Milano per motivi di salute e lavorò come censore, facendosi chiamare Pietro Lichtenthal. Era amico di Carl (Karl) Thomas, figlio di Wolfgang Amadeus, che viveva anche lui a Milano, e tra gli altri conobbe Niccolò Paganini, il quale nel 1828 gli dettò il suo bozzetto autobiografico. Per Lichtenthal la musica di Mozart, che considerava un vero genio, era sempre la misura di tutte le cose. Per rendere fruibili le composizioni mozartiane alle persone che non frequentavano i teatri, Lichtenthal trascrisse alcune pagine per formazioni cameristiche. Tra queste trascrizioni c’è anche la versione per quartetto d’archi del Requiem: Lichtenthal ha probabilmente lavorato sulla prima edizione della partitura, completata da Franz Xaver Süssmayr e pubblicata nel 1800 da Breitkopf & Härtel di Lipsia».

Quale interesse riveste oggi? Un interesse solo documentario o anche estetico?

«È un documento importante che arriva fino a noi come una testimonianza ulteriore di cosa abbia rappresentato Mozart, subito dopo la sua morte, per tutti i musicisti».

Quali sono i pregi e i limiti di una versione solo strumentale del Requiem?

«Nella nostra esecuzione siamo stati molto attenti e meticolosi nel rispettare la volontà del compositore e le sue puntuali notazioni in partitura. Il limite della versione solo strumentale sta nel fatto che tutti conoscono la composizione originale con le voci, pertanto a un primo ascolto si potrebbe avere l’impressione di un’esecuzione vuota se non addirittura incompleta. Sotto questo aspetto, per ottenere equilibrio nelle sezioni sia nelle dinamiche sonore sia nei colori, con particolare attenzione ai brani con i soli, è stato importante confrontarci con direttori d’orchestra come Giovanni Antonini ed Eugeny Buschkov. Abbiamo lavorato in particolare sul Dies Irae e sul Rex Tremedae, spingendo ai limiti gli stacchi dei tempi, in modo da ottenere una maggiore drammaticità».

Quali progetti discografici ha in cantiere GliArchiEnsemble?

«Il prossimo novembre registreremo un disco insieme al violoncellista siciliano Alessio Pianelli per una casa discografica londinese, con pagine di Skalkottas, Komitas, Suplevsky, Bartók e Coleridge-Taylor, comprese alcune prime registrazioni mondiali. Tra poche settimane, invece, uscirà per l’etichetta PuntoeaCapo il CD che abbiamo registrato con il cantautore Mario Venuti, il quale ha voluto dare un tocco classico ai suoi brani».